I ricercatori della Boston University School of Medicine (BUSM) hanno rilevato che la pesante esposizione intrauterina alla cocaina è associata ad una lieve compromissione sullo sviluppo delle aree selettive neurocognitive durante l’infanzia.
I ricercatori hanno valutato se il livello dell’esposizione o dell’interazione tra le variabili contestuali erano collegate al centro esecutivo del funzionamento durante l’infanzia, misurato da due valutazioni neuropsicologiche. Il Stroop Color-Word Test misura la capacità verbale, mentre il Rey Osterrieth Organizational valuta le capacità organizzative, di pianificazione, di organizzazione e di percezione del bambino.
I ricercatori del BUSM hanno classificato i soggetti in base alla loro esposizione alla cocaina in maniera non rilevante, leggera o pesante, attraverso le analisi di positività alla droga e ai test biologici effettuati sulle madri. Gli esaminatori non conoscevano la storia dei bambini o del gruppo che era stato valutato. Esso era composto da 143 bambini tra 9 e 11 anni di età, tutti provenienti dalla stessa zona demografica, ma di cui 74 erano stati esposti alla cocaina e 69 no. Dopo il controllo delle variabili contestuali intrauterine comprese le esposizioni ad altre sostanze lecite e illecite, il livello della cocaina non era significativamente associato con una valutazione della variazione. Tuttavia, la più pesante esposizione alla cocaina, secondo il test Stroop, portava quel gruppo di bambini ad avere punteggi significativamente più bassi rispetto ai gruppi combinati leggero/non rilevante.
Secondo l’autore dello studio Ruth Rose-Jacobs, assistente professore e ricercatore presso la BUSM:
Questi risultati della ricerca sono stati presenti anche in assenza di grandi differenze cognitive nello stesso gruppo per quanto le misurazioni precedenti effettuate con strumenti standardizzati durante la prima infanzia. La comparsa di queste sottili variazioni suggerisce la possibilità di effetti neurocognitivi “dormienti” dovuti all’esposizione alla cocaina, che possono diventare più evidenti con la maggiore esigenza funzionale e cognitiva della tarda-media infanzia e preadolescenza.
Inoltre, i ricercatori hanno precisato che un’ulteriore valutazione a lungo termine permetterebbe di chiarire se il gruppo con le difficoltà potrebbe avere effetti anche nel proseguio della vita, come immaturità, ritardi di sviluppo, o potenzialmente persistenti problemi mentali. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Neurotoxicology e Teratology.