Aids, meno se ne parla, più si diffonde. Proprio così, non bisogna mai abbassare la guardia. Non ci stancheremo mai di ripetere che, credo religioso a parte, la salute viene prima e l’uso del profilattico in rapporti occasionali e non resta la migliore arma di difesa per prevenire non solo l’Hiv ma anche le altre malattie veneree.
Che il preservativo sia indispensabile nel fronte della lotta all’epidemia lo dimostrano i dati diffusi in questi giorni a Vienna nel corso della Conferenza internazionale sull’Aids: oggi 33 milioni di persone in tutto il mondo risultano infettate dal virus dell’Hiv, due terzi delle quali vivono proprio nell’Africa Subsahariana, il 60% di questi due terzi è donna e vive in Paesi in cui l’uso del condom non ha attecchito e nei quali lo stupro è al secondo.
Una nuova ricerca, esposta proprio a Vienna, dà una speranza di un metodo valido per arginare i contagi grazie ad un gel vaginale, già testato con successo su un campione di donne africane. Un’arma di prevenzione nelle mani delle donne i cui partner rifiutano di indossare il preservativo, come spiega Michel Sidibe, direttore esecutivo del programma Unaids dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità:
Stiamo dando una grande speranza alle donne. Per la prima volta abbiamo visto dei risultati nella prevenzione dell’Aids con un’opzione in mano alle donne.
A condurre la sperimentazione del gel battericida, Salim Abdool Karim, un ricercatore sudafricano. Dopo un anno di utilizzo, il gel usato insieme al Tenofovir (un antiretrovirale), è riuscito a ridurre di ben il 50% la percentuale delle infezioni e del 39% dopo due anni e mezzo.
Ma l’Aids non è una malattia lontana, dilaga in Africa dove la mortalità tra donne e bambini è altissima tanto da fare notizia, ma vive anche tra noi, in Occidente, con storie che passano in sordina e non suscitano interesse e invece dovrebbero essere da monito ad una maggiore educazione sulla profilassi sessuale. Ma di educazione sessuale in Italia manco a parlarne. Ecco i risultati di questa non informazione: nel nostro Paese ci sono 180.000 sieropositivi e uno su quattro non sa nemmeno di esserlo, ritardando così terapie e probabilità di guarigione e contagiando a sua volta inconsapevolmente.