E’ una sorta di ‘vedetta’ che non appena si bevono o mangiano carboidrati, segnala al pancreas la necessità di una pronta secrezione di insulina.
«Si chiama Glp-1 ed è molto interessante perché agisce a vari livelli `preparando’ l’organismo ad assorbire il glucosio in arrivo con l’ingestione del pasto»
spiega Stefano Del Prato, docente e direttore della Scuola di specializzazione in Endocrinologia all’Università di Pisa. Uno dei segni classici del diabete è la risposta ritardata e insufficiente della produzione di insulina in seguito all’ingestione di carboidrati. Le beta-cellule che nel pancreas producono insulina normalmente aumentano la produzione non appena la glicemia inizia ad aumentare. Anzi, il rilascio di insulina precede l’aumento della glicemia grazie appunto al Glp-1.
Nel diabete i sistemi di segnale precoce come il Glp-1 funzionano male. La produzione di insulina non ‘scatta’ subito o lo fa in modo insufficiente, e inoltre aumenta la produzione di glucagone (che alza la glicemia e che il Glp-1 dovrebbe ridurre). Per effetto di questi meccanismi, la glicemia sale in modo eccessivo dopo l’assunzione del pasto comportando quei ‘picchi glicemici’ che i pazienti con diabete ben conoscono e temono. Il Glp-1 agisce anche sullo stomaco rallentando la digestione.
«Questo è importante per mantenere un corretto equilibrio glicemico, perché ì carboidrati dovrebbero essere metabolizzati dall’intestino in modo graduale»
sottolinea Francesco Purrello, endocrinologo e docente di Medicina interna a Catania. Non a caso si raccomanda alle persone con diabete di inserire nel pasto molte fibre — che pure rallentano la digestione.
«Per raggiungere questo effetto a volte sì prescrivono anche dei farmaci»,
continua Purrello. Il Glp-1 ha un effetto anche sui centri che nel cervello generano o ritardano la sensazione di sazietà favorendo una minore introduzione di calorie e quindi facilitando la perdita di peso corporeo. In sintesi ristabilendo un buon funzionamento del Glp-1 si ottengono effetti in termini sia di riduzione di emoglobina glicata, sia di peso.
«Si parla mediamente, di una perdita di 3-5 chili che tende a mantenersi se non addirittura ad aumentare con il passare del tempo»
spiega Del Prato, che a Pisa dirige il Centro regionale di riferimento per il diabete dell’adulto.
Il vantaggio ovviamente è il miglioramento delle glicemie che mediamente si traduce in una riduzione di circa un punto percentuale dell’emoglobina glicata.
Fonte http://www.modusonline.it/32/sapere.asp