Mentre le vittime della Mers in Sud Corea continuano a salire appare evidente, stando alle numerose testimonianza provenienti dal paese orientale, che i medici in loco non siano ancora preparati ad affrontare questa emergenza.
Sebbene le autorità locali stiano facendo il possibile per limitare i contagi e migliaia di persone sono state già messe in quarantena per evitare che più persone possibile rimangano vittime della Mers, è palese che i medici non abbiano mai avuto a che fare con questa tipologia di coronavirus. Basta pensare alla scoperta del paziente zero: si è arrivati ad una diagnosi molto tardiva, quando ormai c’era davvero poco da fare anche per limitare il semplice contagio. Ovviamente questa “incapacità” diagnostica dei medici è dovuta anche al fatto che i sintomi di questo virus sono molto simili a quelli di qualsiasi affezione respiratoria e che il punto di svolta si è potuto avere, con il primo malato, solo quando si è saputo del suo viaggio in Medio Oriente.
E da ciò che emerge, lo ripetiamo, parte della colpa può essere ascritta anche all’organizzazione sanitaria coreana: ovvero agli ospedali sovraffollati.Questa condizione nasce dalla loro grandezza e dal numero di persone che di media riescono a curare. L’approccio al paziente, molto personale e sentito, sebbene sia una peculiarità positiva in altri contesti, nel caso della Mers si è rivelato una debolezza molto potente: i pazienti sono infatti venuti a contatto con moltissimo personale sanitario prima che si fosse in grado di organizzare quarantene e capire che si trattasse del coronavirus mediorientale, favorendo quindi un potenziale contagio a tappeto.
E’ questa la ragione alla base del grandissimo numero di persone in quarantena per la malattia, circa 2.900. Nonostante questo, non vi sono situazioni di panico in Corea: le autorità stanno gestendo l’emergenza al meglio delle loro possibilità nonostante i 95 casi conclamati e le 7 morti finora registrate.
Photo Credits | kentoh / Shutterstock.com