Curare i pazienti lontani dal medico, specie se in strutture con un personale non addestrato, potrebbe non essere più un’utopia. Venti pazienti operati tra la fine di agosto e l’inizio di settembre hanno ottenuto l’assistenza medica necessaria nonostante il loro medico si trovasse ad oltre 6000 chilometri di distanza. La nuova tecnica si chiama teleanestesia e permette di anestetizzare e controllare i parametri vitali del paziente tramite un collegamento internet.
La collaborazione che ha dato il via alla sperimentazione di questo enorme passo avanti della scienza è avvenuta tra l’Università degli Studi di Pisa e la McGill University di Montreal, in Canada. Gli interventi sono stati portati a termine dall’équipe medica del professor Paolo Miccoli e riguardavano patologie della ghiandola tiroidea, ma l’operazione è stata seguita con collegamento audio-video attraverso quattro dispositivi digitali che permettevano all’équipe medica canadese di agire sul paziente e su cui gli italiani “vigilavano” per poter intervenire in caso di necessità.
Di fatto, per i nostri colleghi d’oltreoceano era come essere presenti in sala: vedevano esattamente ciò che vedevamo noi, che eravamo fisicamente accanto al paziente
ha spiegato Francesco Giunta, direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’Università di Pisa che ha ideato il progetto con il suo omologo canadese Thomas Hemmerling. Le operazioni sono andate tutte a buon fine, e per questo motivo ora le due strutture ospedaliere si “scambieranno i ruoli”. Sono venti i pazienti a Montreal che si sono prenotati per l’intervento, e così nei prossimi giorni sarà l’équipe pisana ad operare a distanza i malati canadesi.
Le due strutture di certo non hanno bisogno di questa tecnologia perché già all’avanguardia nella scienza medica, ma la ricerca, secondo i suoi autori, serve principalmente per operare in condizioni molto meno ottimali di quelle italiane e canadesi, come nei Paesi del terzo mondo o in strutture non adeguate che costringono i pazienti a sobbarcarsi migliaia di chilometri per sottoporsi all’operazione.
[Fonti: Repubblica, Corriere della Sera]