Chemioterapia: sempre più spesso in molti ospedali vengono utilizzati dei farmaci equivalenti. Per meglio capirci, dei “generici”. Questo per ridurre l’impatto economico che graverebbe sul sistema con l’utilizzo di farmaci di marca. Molta gente si chiede: il loro valore è lo stesso? La loro efficacia ne risente?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario fare un piccolo excursus della situazione.
Secondo una indagine condotta nel 2008 dalla Lega Italiana Tumori in merito all’impatto economico di un malato di cancro sul sistema sanitario e su se stesso (sono state prese in considerazione le necessità di una donna affetta da tumore al seno nei primi due anni dalla malattia. Ed è stato stimato che tra le spese a carico dei diversi interlocutori e l’impatto negativo generale sul reddito la spesa sarebbe ammontabile in una media di 25mila euro.
La domanda che tutti si pongono quindi è se è possibile curarsi adeguatamente tentando di risparmiare un poco, senza ovviamente pregiudicare la sicurezza della terapia.
La risposta è affermativa. Stupirà infatti sapere che la maggior parte dei farmaci utilizzati in ospedale attualmente come chemioterapici non sono di marca, ma sono farmaci equivalenti. Ovviamente si parla di chemioterapici di tipo chimico come oxaliplatino, cisplatino, carboplatino, paclitaxel, vincristina, docetaxe, i cui brevetti sono scaduti in passato ed quindi disponibili in commercio nella loro forma “generica”.
Solitamente gli ospedali fanno dei bandi di gara regolari per decidere a quale casa farmaceutica rivolgersi, ed ovviamente chi propone il prezzo più basso vince. Il fatto che siano equivalente non significa che non sia validi. Questi farmaci infatti sono già testati e approvati dall’Ema e dall’Aifa, le agenzie regolatorie del farmaco europea e italiana.
Il risparmio è altissimo: per la stessa sostanza si va dal costo inferiore ad un euro per il generico agli oltre 500 euro per il farmaco di marca.
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Fonte: Corriere della Sera