Un nuovo test genetico non invasivo è stato messo a punto per effettuare una diagnosi di sindrome di Down e di sindrome di Edwards in modo più preciso rispetto agli attuali screening disponibili. Tralasciando volontariamente il problema etico della possibile interruzione di gravidanza derivante dai risultati ottenuti, concentriamoci sugli aspetti scientifici di questo nuovo strumento non ancora in uso.
Questa nuova analisi è frutto del lavoro dei ricercatori della Stanford University statunitense ed è stato pubblicato sulla versione online della rivista di settore sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology. Si tratta di un test non invasivo, perché condotto semplicemente su un campione di sangue materno, e sicuro per il feto perché in tal senso renderebbe possibile evitare un approccio con dei rischi come l’amniocentesi. Bisogna ricordare che con gli attuali strumenti si ottengono di media il 2-3% di falsi positivi e il 5% di falsi negativi per entrambe le sindromi.
La sindrome di Down, detta anche trisomia 21, è causata dalla presenza di una copia extra del cromosoma 21, mentre la sindrome di Edwards, detta anche trisomia 18, è causata da una tripla copia di questo cromosoma. Il tasso di sopravvivenza dei bambini in questo caso è davvero molto bassa, rispetto alla precedente per la quale lo sviluppo e l’autonomia raggiunta dalla persona variano molto a seconda delle condizioni generali di salute.
Questo nuovo metodo consentirebbe di evitare la perdita del feto che in alcuni casi si verifica dopo l’amniocentesi. Gli scienziati hanno creato la Digital Analysis of Selected Regions (DANSR) che esamina piccoli frammenti di DNA fetale circolante nel sangue materno. Basandosi su marcatori specifici dei cromosomi 21 e 18, questo test è in grado di valutarne la presenza in triplice dose. Un test, secondo i coordinatori della ricerca Andrew B. Sparks e Craig A. Struble, affidabile al 100%.
Per giungere a questo risultato, sono state prese in considerazione un numero molto elevato di gravidanze normali e di donne con feti affetti dalle due sindromi menzionate. Nonostante il risultato raggiunto, gli stessi ricercatori sostengono che serva ancora del tempo per utilizzare effettivamente questo esame come strumento diagnostico. Non solo per via del costo elevatissimo, ma anche per la necessità di preparare adeguatamente gli operatori che dovranno eseguirlo.
Fonte: American Journal of Obstetrics and Gynecology
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