Molti genitori stanno affrontando in queste ore un’esperienza “particolare”: l’inserimento all’asilo nido del loro bimbo. Dico “particolare” perché comporta un misto di emozioni non propriamente identificabili e scindibili tra loro: gioia, tristezza, senso di colpa, paura…L’asilo nido accoglie bambini molto piccoli, fino ai tre anni, che dunque non hanno una necessità psicologica nel socializzare, è ancora troppo presto, anche se dal punto di vista psicologico non hanno problemi nel vivere un nuovo ambiente con nuove persone. Molti pediatri consigliano di tenere i bimbi a casa il più possibile onde evitare infezioni prima del tempo, ma la pratica è altra cosa.
L’asilo nido infatti è nella maggior parte dei casi un’esigenza familiare (lavorativa della mamma per lo più). Il distacco tra mamma e figlio è un passaggio normale della vita, una tappa fisiologica nel percorso di crescita. Ciò non toglie che si tratta di un’esperienza dura, per ambedue le parti. I bambini possono anche apparentemente non dimostrare cambiamenti, ma comprendono la differenza. Quando sono tornata al lavoro, dopo la prima gravidanza, anziché portare la bimba al nido la lasciavo in casa con mia madre (potendo seguire il consiglio dei pediatri). Dunque nessun cambiamento effettivo se non la mia assenza per poche ore.
Eppure la mia bimba di 9 mesi, che ancora allattavo, rifiutava di guardarmi mentre ciucciava! Insomma mi teneva il broncio! Ovviamente poi è passata, ma per me è stato difficile. L’inserimento all’asilo nido deve dunque avvenire con gradualità, proprio per far comprendere al bimbo che la mamma tornerà a riprenderlo, per farlo ambientare con nuove persone, ma anche e soprattutto per fare in modo che la donna affronti i propri sensi di colpa e le sue fisiologiche ansie da “distacco”, poco a poco, evitando di trasmettere tensioni negative al bambino.
Spiega Cristina Malvini Pedagogista e fondatrice di “Pianeta Bambino”, un franchising di asili nido, con grande esperienza nel settore:
“L’ingresso al nido è la prima vera separazione madre-figlio, dopo mesi di simbiosi. L’ansia principale delle madri è quella di non trovare persone capaci di codificare i bisogni del loro piccolo. Del resto solo loro lo conoscono a fondo: sanno quando piange per un capriccio, quando ha sonno e quando ha fame. La gradualità dell’inserimento all’asilo nido serve anche a questo, per passare tali chiavi di comprensione alle educatrici, in modo che possano occuparsi al meglio del piccolo”.
Va altresì ricordato che non esistono tempi prestabiliti: ogni bambino è un caso a se stante, anche se più è grande e maggiori saranno le difficoltà. Può servire anche un mese e se pure psicologicamente sembra che il bimbo sia sereno non è il caso di spingere sull’acceleratore. L’importante è che non si sentano abbandonati. Un buon trucco consiste nel lasciargli portare un giochino a cui è affezionato (oggetto transazionale) e riempirlo di coccole, baci ed abbracci per tenere sotto controllo la reciproca ansia da separazione. Se la mamma è tranquilla, lo sarà anche il figlio.
Un’ulteriore preoccupazione è quella dell’alimentazione. Se il bimbo i primi giorni non mangia adeguatamente, non bisogna temere, la psiche e le emozioni sono strettamente legati al cibo, passerà con il tempo. Il bambino piange anche dopo un mese quando la mamma lo lascia? Prosegue Malvini:
“E’ la crisi da frustrazione del distacco, che dura di solito qualche minuto. Invitiamo sempre la mamma a salutare il bimbo e a spiegare che ora deve andare ma che poi tornerà a prenderlo. Invitiamo poi la mamma a rientrare di nascosto per accertarsi che il figlio si è tranquillizzato”.
Il senso di colpa delle mamme? Passerà anche quello:
“In realtà fa parte di un percorso verso l’autonomia da entrambe le parti. Ho visto tante mamme arrivare al momento dell’iscrizione a pezzi e poi riprendersi piano piano. E se la mamma sta bene, sta meglio anche il bambino”.
Se volete approfondire la tematica degli asili nido, vi consigliamo di leggere i post di Tutto Mamma.
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