Viviamo in una società sempre più costellata di lavoro, pianificazioni, scadenze e progetti. In tutto questo la gravidanza resta un evento che implica un’evoluzione del corpo assoggettata alle millenarie leggi della natura e che insinua nella donna una sensazione di perdita di autonomia e di privazione della libertà. Infatti, accanto al vissuto dominante della gioia nella creazione di una nuova vita e della “sopravvivenza della propria specie” nei futuro, insorgono spesso, sentimenti di paura e incertezza.
Nascono domande intorno a corpo che diventa altro rispetto alla semplice realtà biologica, poiché riveste anche il ruolo di strumento per divenire madre, con tutte le implicazioni che questo passo comporta nella costituzione dell’identità di una donna. I cambiamenti che avvengono a livello fisico comportano una rielaborazione interna della propria immagine, un assestamento che permette di metabolizzare ciò che sta avvenendo, al fine di rafforzare la propria identità. Il corpo, dunque, si adegua alla gestazione in modo fisiologico e senza l’intervento della volontà, mentre per quanto riguarda l’adattamento psicologico entrano in gioco dinamiche più sottili e delicate.
La futura mamma dovrebbe quindi riuscire a “sentire” la propria gravidanza (al di là dei doverosi controlli ginecologici), evitando di pensare al suo corpo esclusivamente come ad una sorta di contenitore in cui si “fabbrica” il figlio, ma riflettendo sul significato psicologico che quest’esperienza ha per lei. Quando aspettiamo un figlio sentiamo il nostro corpo invaso da un altro essere, e questo evento può ingenerare vissuti di ansia e rifiuto, cui si può reagire in vari modi, anche conducendo la propria vita esattamente come prima a livello di impegni lavorativi, di esercizio fisico, di vita sociale.
Queste forme di difesa, se esasperate, rischiano di farci perdere la possibilità di vivere in modo adeguato, profondo e sereno un’esperienza davvero unica, magari negando in qualche modo le trasformazioni che stanno avvenendo giorno dopo giorno a livello fisico e psichico. Sentimenti ambivalenti difficili da tollerare, il desiderio di mantenere la propria forma fisica e gli impegni presi da un lato, e il senso di attesa e di responsabilità verso una nuova vita dall’altro, vengono rimossi dalla coscienza ed espressi attraverso il corpo, in modo simbolico, con le misteriose e violente nausee dei primi mesi.
La capacità di adattarsi in maniera flessibile al corpo che cambia dipende da molti fattori, tra cui il rapporto che avevamo con la nostra fisicità prima dei nove mesi: quanto più vivevamo serenamente nella nostra pelle, tanto meglio potremo tollerare le modificazioni, che considereremo inevitabili e momentanee. Anche il grado di accettazione della gravidanza influisce molto: se il figlio è desiderato, se arriva al “momento giusto“, i cambiamenti fisici sono vissuti come del tutto naturali. Influente è anche il controllo del peso corporeo: in una gestazione normale il peso non dovrebbe aumentare oltre i 9-12 chilogrammi, e in questo caso non solo l’andamento dell’attesa è migliore, ma il vissuto stesso del corpo è più accettabile e sereno.
Accanto a questi vissuti ve ne sono altri che mostrano sintonia e sicurezza nel vivere la maternità come completamento del sé femminile. In particolare, si pensi a come il pancione, occultato quasi vergognosamente da alcune donne, venga al contrario esibito da altre, manifestando un profondo orgoglio della propria identità di genere, legata alla capacità di donare la vita. In buona sostanza, chi riesce a vivere serenamente le modificazioni legate ai nove mesi dell’attesa quasi certamente recupererà rapidamente il peso e la linea precedenti, con altrettanta naturalezza e disinvoltura.
Durante l’ultimo mese di gravidanza, e poi dopo il parto, i cambiamenti fisici subiscono un’ulteriore, repentina accentuazione, costringendo corpo e mente ad un nuovo adattamento. Nella futura mamma convivono la gioia per l’imminente nascita del bimbo, ma anche il timore per il dolore fisico legato al parto e la paura di non riuscire a recuperare la forma fisica precedente. Questi vissuti, apparentemente così legati a una dimensione corporea e materiale, celano in realtà la preoccupazione di non essere capaci di separarsi emotivamente dal proprio bimbo. Per questo occorre prepararsi ad una rinnovata rappresentazione del corpo, che non deve sostituire la precedente, ma integrarla, arricchendola di nuovi significati, in continuità con la propria identità personale.