Cambiano i pannolini,danno il biberon al pargolo, sono teneri e sensibili. Si alzano di notte quando i bambini piangono. E poi li accompagnano all’asilo, li fanno addormentare con le ninne nanne. In pratica sono una seconda mamma. È questo il ritratto dei padri del terzo millenio. Uomini in grado di destreggiarsi, con le loro manone, tra cremine e bagnetti meglio di come potrebbero fare le mamme più esperte. Una vera e propria rivoluzione quella dei nuovi papà: fino a pochi anni fa era impensabile per un maschio assolvere ai compiti tradizionalmente assegnati alle mamme.
Che cosa significa tutto ciò per il bambino? Se per il papà sono esperienze positive, quali conseguenze comportano per i piccoli? Non sanno dire un «no» chiaro e tondo, non riescono a dare regole precise e certe. In sostanza, finiscono per accontentare in tutto e per tutto i pargoli, assecondanzelo nelle richieste di gioco e di aquisto. Attività che, purtroppo, quasi mai diventano vere e proprie esperienze di vita, elementi utili allo sviluppo cognitivo.
Perché è fondamentale che, soprattutto a partire dal quarto anno di vita, i bimbi comincino a elaborare l’esistenza dei limiti che la realtà e la presenza di altre persone pongono. Confini che riguardano anche la consapevolezza di differenze (adulto-bambino, maschio-femmina, bianco-nero) e l’accettazione di regole e divieti, fondamentali per lo sviluppo di valori che resteranno per il resto della vita.
Una serie di tappe della riorganizzazione interiore che, se manca, può causare confusione psichica, mancanza di desiderio e tentazioni regressive. I pedagogisti lo chiamano “codice paterno”. È ciò che serve per accompagnare il bambino nel suo percorso verso l’autonomia, attraverso un incontro sempre meno mediato con la realtà. Lo aiuta ad affrontare la frustrazione, l’incertezza, il conflitto, il dolore. Così che abbia la possibilità di «fare le prove» in un contesto progressivamente meno protetto, e strutturare la propria personalità arrivando così a vivere in modo autonomo il confronto con gli aspetti inevitabili della condizione umana.
Qualcuno lo definisce anche come una sorta di mappa regolativa del vivere. In ogni caso, la condizione necessaria perché il neopapà eserciti questo codice è la chiarezza delle regole: quando sono evidenti e non ambigue, diventano i limiti entro cui il bambino può muoversi, gli spazi di libertà consentiti. Il codice paterno, quindi, non è da intendersi come una gabbia intorno alla libera espressione del figlio, ma piuttosto un’offerta di libertà: all’interno delle regole può muoversi e decidere autonomamente, senza paure e ansie.
Il principale effetto collaterale del padre mammizzato, e in generale della famiglia troppo affettiva, è proprio un’insufficiente rielaborazione delle educazioni ricevute. Con il risultato che, spesso, si ottengono comportamenti opposti e speculari a quelli esercitati. C’è un’altra caratteristica importante del codice paterno: la trasmissione degli interessi vitali, un insieme di inclinazioni, predisposizioni e passioni che definiscono le potenzialità evolutive.
Possono esprimersi nel lavoro, nello sport, nella socialità. È il papà che, costruendo una casa sull’albero assieme al figlio, portandolo allo stadio, socializzando con gli amici, instilla nel bambino i suoi interessi vitali. Che prenderanno forma nella vita adulta. Tramontati definitivamente i vecchi modelli paterni, resta da capire quali sono quelli che verranno. Al momento non ce ne sono di altrettanto chiari.
Fonte http://www.consumercare.bayer.it/ebbsc/export/sites/cc_it_internet/it/Sapere_and_Salute/articoli/Maggio_2010/11_Psiche.pdf