Lo speciale rapporto che lega uomo e cane nasce molto tempo fa, addirittura nel paleolitico, epoca in cui, secondo alcune tracce archeologiche, i due esseri già convivevano sotto lo stesso tetto (se di tetto si può parlare!). Ma ci vollero ancora moltissimi anni prima che un neuropsichiatra statunitense si accorgesse dello straordinario potenziale dell’amico canide, soprattutto in relazione al mondo della medicina. Nel 1953 Boris Levinson notò una cosa molto particolare: uno dei suoi assistiti, un bambino affetto da problemi di autismo, aveva imparato a chiamare il suo cane e a relazionarsi con lui. Era nata la pet therapy.
Curioso come questa denominazione, che si serve di due nomi inglesi (pet = animale, therapy = terapia) sia adottata quasi esclusivamente in paesi non anglofoni, come l’Italia. Negli Stati Uniti e in Inghilterra si parla invece di “animai therapy“. La pet therapy, dunque, altro non è che l’uso di un animale da compagnia, adeguatamente addestrato e coadiuvato da un’equipe medica, per superare stati di ansia, mancanza di affetto, stress e depressione, oltre a vari handicap fisici.
Occorre però distinguere due tipi di attività: Le AAA (Animai Assisted Activities) sono dirette perlopiù a portatori di handicap e non vedenti, che sono accompagnati da animali addestrati nella vita di tutti i giorni. Per particolari patologie che colpiscono gli anziani, invece, gli incontri tra paziente e animale sono controllati secondo un calendario clinico ed avvengono in strutture specializzate. Le AAT (Animai Assisted Therapies), sono delle cure vere e proprie destinate a migliorare la salute del paziente, spesso colpito da problemi cognitivi, psicologici, sociali e comportamentali.
Sono affiancate a cure più propriamente mediche e farmacologiche, ma, per la loro particolare natura, riescono a dare risultati altrimenti non raggiungibili. In questi casi è d’obbligo l’assistenza ed il monitoraggio del paziente da parte di un professionista medico che ne documenti i progressi. Gli animali coinvolti nella pet therapy vengono spesso chiamati “pet partner“, proprio per sottolinearne l’importanza all’interno del complesso quadro che porta alla guarigione o al miglioramento delle condizioni di vita del paziente.
Questi “co-terapeuti”, dunque, devono essere accuratamente selezionati tra animali adulti di tipo domestico e di indole tranquilla. Per meglio selezionare i candidati viene effettuato il Test Attitudinale per Pet Partner (PPAT). I cani non sono gli unici a poter svolgere questo compito, infatti vengono spesso utilizzati anche gatti, conigli, criceti, cavalli, uccelli e pesci. E se il cane ha certamente un migliore rapporto con l’uomo ed è per questo impiegato nella maggior parte delle terapie, in quanto animale da compagnia fortemente teso ad instaurare un rapporto di mutua dipendenza dal padrone, anche i gatti e gli uccelli vengono destinati spesso a persone che vivono sole o dalla scarsa mobilità, come gli anziani.
I conigli ed i roditori in genere vengono utilizzati in terapie con i bambini, grazie alle loro piccole dimensioni e scarsa aggressività. I cavalli sono il fulcro della ippoterapia (sia come riabilitazione fisica che psicologica) che richiede però un forte supporto professionale da parte di medici, addestratori e veterinari. Per quanto riguarda i pesci, osservare il loro movimento all’interno degli acquari aiuta a ridurre i livelli di stress, tachicardia e tensione muscolare. Un discorso a parte meritano i delfini, grazie alla loro particolare indole, che aiuta enormemente pazienti affetti da disturbi depressivi e comunicativi, spesso anche determinati dall‘autismo.
Vanno menzionati anche gli animali da fattoria, quali mucche, capre e pecore, che sono recentemente stati impiegati in alcuni progetti di pet therapy con ottimi risultati. L’animale, dunque, diventa un nuovo stimolo psico-fisico per il paziente, rinnovandone la curiosità e i metodi comunicativi.
Non dovendo sforzarsi di utilizzare un linguaggio convenzionale, il paziente ottiene un effetto rilassante, pur continuando a dialogare con il proprio compagno-animale e sviluppando un rapporto definibile come interpersonale, che gli consentirà di migliorare in modo graduale la comunicazione anche con altri esseri umani.
L’uso della pet therapy richiede l’assistenza di personale adeguatamente formato (medici generici, psicologi, fisioterapisti, infermieri, assistenti sociali, pedagogisti, veterinari, etologi, addestratori), oltre che di animali adatti, che devono essere sottoposti a controlli periodici da parte di veterinari specializzati, per monitorare la salute fisica e psicologica (non va dimenticato, infatti, che proprio come gli esseri umani anche gli animali subiscono le conseguenze del relazionarsi con soggetti di natura problematica). Sarà necessario anche l’intervento di un etologo (studioso che si occupa del comportamento animale) sia per determinare la scelta dell’animale più adatto sia per istruire tutti i soggetti che verranno in contatto con lui.