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Solitudine, disadattamento e malinconia: i mali attuali

Nel nostro tempo il problema della solitudine è un problema che tocca mi­lioni di persone. Per dare una definizione del termine solitudine possiamo parlare di una condizione umana nella quale l’individuo si isola o viene isolato dagli altri es­seri umani generando un rapporto privilegiato con se stesso. In questa so­cietà che sempre più ci propone frenesia, corse, competitività, ricerca di ricchezza, full immer­sion nella gente, è fisiolo­gico ritagliarsi uno spa­zio proprio per stare con se stessi, riflettere e pen­sare.

 Ma cosa succede se questo ritaglio di tem­po diventa invece la pro­pria quotidianità? Succe­de che ci si può sentire inadeguati,tristi, isolati, demotivati e depressi. Questa condizione di di­sadattamento è una con­dizione inadatta all’ uo­mo, che, come diceva il filosofo Aristotele, è un “animale sociale”. La soli­tudine che oggi troviamo non è solo quella di non avere amicizie e compa­gnie, ma è quella dell’ an­ziano abbandonato, dei ragazzi che non trovano ascolto in famiglia, nella scuola o nel gruppo di pa­ri, è quella della donna vit­tima dei pregiudizi, è quella del lavoratore che subisce soprusi e viene alienato, dei membri del­la coppia che non comu­nicano; è la solitudine che avvolge nella più am­pia globalità l’esistenza di ognuno.

 Ciò che è pos­sibile vedere in questo momento storico è che lo sviluppo economico sem­bra aver creato un tipo d’uomo la cui psicologia ruota attorno alla propria ristretta cerchia familiare e al proprio tornaconto economico e personale. La competitività, che non ammette respiro, non fa­vorisce le occasioni con­viviali di incontro, di dia­logo, di festa scambio. Oggi si vive in sostanza in una società in cui nes­suno è veramente mai ar­rivato e in cui non c’è tem­po da dedicare all’ amici­zia e allo stare veramente insieme. Si è sempre alla ricerca di un qualcosa, si vive nella frenesia più to­tale e controproducente.

 Oggi vediamo che l’unico modo per la socializza­zione dei ragazzi è lo sta­re davanti ad internet usa­to come strumento per ef­fettuare conoscenza o re­ciproci scambi relaziona­li, strumento che bypas­sa la comune e sana rela­zione vis a vi interceden­do in una relazione più propriamente virtuale. Ta­le meccanismo, come si può ben comprendere, da un lato è vero che col­ma la solitudine ma è al­trettanto vero che dall’al­tro porta lo sviluppo della famigerata dipendenza da internet. Queste catene di difficile rottura si possono trovare ed ave­re anche nella solitudine; tale principio lo esplica una ricerca effettuata dai ricercatori delle Universi­tà di Chicago, California, San Diego e di Harvard che hanno visto come le persone sole tendono a trasmettere i loro senti­menti di tristezza a chi sta loro intorno, il che alla fi­ne le porta ad essere iso­late dalla società.

 Tale stu­dio è stato pubblicato sul numero del 1 dicembre 2009 del Journal of Per­sonality and Social Psychology. Quella di cui abbiamo fin qui parlato è la solitudine nera, triste e melanconi­ca; tuttavia esiste anche la solitudine “buona”, quella che ci fa stare soli con noi stessi per scelta e non per obbligo, quella che incoraggia lo svilup­po dell’ interiorità e predi­spone alla creatività, alla nascita del nuovo. Al con­trario della prima questa è la solitudine che ci fa ri­flettere, che ci guida ver­so le scelte importanti del­la nostra vita, che ci per­mette di recuperare quel­le forze scemate con lo stress.

Ma cosa si può fa­re per combattere la soli­tudine? Innanzitutto è ne­cessario cercare di crea­re delle occasioni di incontro magari prenden­do l’ iniziativa del primo contatto sociale. Una vol­ta instaurato il primo con­tatto è necessario e fon­damentale essere se stessi, non bisogna bril­lare ad ogni costo trasformandosi in ciò che non si è e diventando cosi co­me presumibilmente si pensa che l’altro ci vo­glia. Come in ogni rap­porto è importante pren­dersi tempo e lasciare tempo all’altro, far diven­tare subito un conoscen­te il proprio migliore ami­co può risultare pericolo­so poiché si rischia di fa­gocitare l’altro per poi vederlo fuggire confer­mando cosi il proprio sen­so di inadeguatezza nelle relazioni sociali.

Se si ini­zia un tale percorso è es­senziale sviluppare i pro­pri interessi in modo da poterli condividere con l’altro! Ma attenzione, questi piccoli suggeri­menti possono essere messi in atto se non ci so­no evidenti e manifeste problematiche, in caso contrario o nel caso non ci se la faccia a superare il proprio disagio è consi­gliabile ed opportuno chiedere il consulto di uno specialista che pos­sa comprendere al me­glio le difficoltà soggetti­ve e offrire strategie per migliorare la qualità di vi­ta della persona.