Quando si parla di tumore, quello delle persone accanto al malato oncologico è un discorso che non si affronta spesso: come giustche sia ad essere al centro dell’attenzione è il paziente che combatte con la patologia. Sempre più studi però, come quello condotto dalla fondazione Ant Italia Onlus, stanno concentrando parte dell’attenzione anche agli “effetti collaterali” subiti da chi assiste, i cosiddetti caregiver, che rischiano di ammalarsi pensando troppo alle “conseguenze” negative della malattia.
L’impatto della patologia cancerosa incide sulla vita del malato. Ma lo fa anche nei confronti di chi di quest’ultimo si prende cura. Ad essere colpito è soprattutto l’aspetto psicologico delle persone che danno assistenza . Avere a che fare con dei pazienti oncologici crea infatti nei famigliari degli stessi dei picchi elevati di stress, che contribuiscono in maniera sostanziale al nascere ed allo svilupparsi di disturbi di tipo somatico, talvolta anche invalidanti.
Ovviamente questo “disagio psicofisico” è strettamente correlato all’atteggiamento che i caregiver, coloro che assistono, assumono sia nei confronti della malattia che nelle strategie proposte per la risoluzione della stessa. Un carattere forte, una valutazione oggettiva della situazione creeranno sicuramente un risultato di approccio diverso rispetto a quello portato avanti da una persona debole caratterialmente e priva di esperienza.
Lo studio condotto dalla Fondazione, che dal 1985 a oggi ha assistito gratuitamente a domicilio circa 87 mila di tumore in 9 regioni, ha dimostrato con una certa sicurezza come il “rimuginio”, il continuo pensare alla patologia da parte di chi dona assistenza, possa portare allo sviluppo sia di patologie fisiche che a disturbi di tipo psicologico.
La ricerca, condotta in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna, ha voluto indagare questo aspetto e il suo impatto sulla salute psicofisica dei familiari che si prendono cura dei pazienti oncologici assistiti a domicilio.
Il “rimuginio”, secondo i dati raccolti, è un vero “attivatore potenziale di malattia”. La tesi è stata validata analizzando un campione sperimentale costituito da 107 familiari ( di cui 77 femmine e 30 maschi, n.d.r.) di pazienti oncologici seguiti in assistenza domiciliare sia prima dell’inizio dello studio che dopo tre settimane di follow up.
Commentano gli esperti della Onlus:
Questi risultati hanno un grande valore pratico e operativo : non va dimenticato infatti che, se il familiare si ammala, invece di risultare una risorsa finisce col poter rappresentare un’ulteriore aggravante, ostacolando il percorso di riabilitazione oncologica. In quest’ottica sarebbe auspicabile proporre interventi di sostegno specifici per tale categoria di caregiver a rischio.
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