La vitamina D, nota per le sue proprietà protettive nei confronti dell’osteoporosi e del sistema immunitario sembra svolgere un ruolo determinante nel concepimento. A questa conclusione sono giunti già nel 2010 alcuni ricercatori della Kocaeli University in Turchia: le donne sottoposte a fecondazione in vitro che assumevano i livelli raccomandati di vitamina d (30 ng/mil) hanno avuto un maggior successo di gravidanza.
Sappiamo che una fecondazione assistita comporta l’estrazione di un ovocita dalla donna che viene fecondato in laboratorio (in vitro) da uno spermatozoo. Allo sviluppo dell’embrione, questi viene poi impiantato nell’utero della futura mamma. Purtroppo siamo anche consapevoli che il tasso di successo, nonostante le migliorie tecnologiche, per ogni impianto, non supera la media del 35% sotto i 35 anni (tasso che si abbassa con l’aumentare dell’età della donna). La vitamina D è risultata aumentare queste percentuali di 4 volte (rispetto a chi non ne assumeva abbastanza) ed ha suggerito nuove ricerche più approfondite, anche in relazione alla razza.
A portarle avanti un team di studiosi della Columbia University Medical Center di New York, che ha testato 188 donne che si sottoponevano alla fecondazione in vitro per la prima volta: bianche ispaniche, non ispaniche, asiatiche ed indiane. Di queste solo il 42% aveva i livelli raccomandati di vitamina D per il resto, quantità insufficienti o carenza totale. Nelle donne bianche i risultati hanno confermato il successo del precedente studio offrendo nuove possibilità e speranze di successo per chi cerca di avere un figlio grazie alla fecondazione assistita. Lo stesso però non è stato per le donne asiatiche ed indiane: un mistero, che merita ulteriori studi.
Allo stato attuale delle cose infatti non ci sono certezze sul perché questo accada, se non una ipotesi che potrebbe vedere a livello genetico un enzima che disattiva la vitamina D. O forse dipende da una coincidenza statistica; è altresì troppo presto per dire se le donne in questione devono aumentare le quantità di vitamina d da assumere oltre i livelli soliti raccomandati. Certo è che si è aperto un nuovo ed interessante percorso scientifico.
Fonte: New Scientist
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