Esiste un farmaco contro il tumore al polmone ed al rene considerabile quasi salvavita per la sua efficacia. Eppure è ormai nella fila dei medicinali a pagamento. Perché accade questo? Si può fare qualcosa per cambiare la situazione?
Il farmaco in questione è il Nivolumab ed il suo uso gratuito in base al decreto sulle cure compassionevoli si è concluso nel momento in cui lo scorso 4 aprile la Commissione europea lo ha approvato per l’utilizzo clinico. Questo traguardo ha portato automaticamente al blocco del programma ad esso relativo ed all’inizio delle trafile relative alla messa in commercio italiana previa l’autorizzazione dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. Il medicinale immunoterapico, va sottolineato, è stato messo a punto per il trattamento del tumore al polmone a cellule non squamose e del carcinoma renale.
Tutto questo però per i pazienti, soprattutto quelli già in cura con questo farmaco, si traduce in uno stop all’utilizzo gratuito. Chiunque voglia continuare ad usarlo dovrà farlo in forma privata e pagandolo a prezzo pieno. Un fattore che mettere in allarme gli stessi oncologi e le motivazioni sono presto spiegate: non vi sono altri medicinali della stessa classe disponibili e non vi sono notizie certe sui tempi di approvazione che consentano di poter ripiegare su un ulteriore approccio terapeutico valido. L’unico possibile in tal senso sarebbe il pembrolizumab, ma ancora non è chiaro come poterlo integrare.
Pur essendo definibili questi principi attivi di “seconda linea” rispetto alla classica chemioterapia, hanno mostrato di avere un’ottima capacità di allungare l‘aspettativa di vita dei pazienti ,i quali ora si trovano costretti a farne a meno in molti casi per il costo troppo elevato. E la mancanza di risorse mediche unita alla sensazione di essere stati abbandonati non è ciò di cui un malato necessita per sopravvivere ad un male (il tumore al polmone, N.d.R.) che viene considerato il primo killer neoplastico per numero di vittime.
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