Uno strano sabato questo. Piermario Morosini, centrocampista del Livorno, un professionista dello sport, durante la partita di serie B disputata contro il Pescara si è accasciato a terra ed è morto sul campo. Una tragedia che lascia tutti sotto choc e per dovuto rispetto il mondo del calcio si è fermato. Una pausa che deve essere anche riflessione. Senza polemica, viene spontaneo domandarsi, come è possibile? Questa tragedia poteva essere evitata? I controlli medici a cui questi sportivi vengono sottoposti sono effettivamente efficaci?
Cassano dopo il malore di qualche mese fa è da poco tornato in campo: si trattava di un forame ovale pervio, che è stato adeguatamente trattato, eppure non sapeva neppure di avere questa malformazione, tra l’altro molto più comune di quanto non si creda. Lui è stato fortunato, ma negli anni i casi di morti improvvise su un campo sportivo sembrano essere decisamente troppe. Poche settimane fa se ne andava allo stesso modo l’ex azzurro Vigor Bovolenta, 37 anni, campione di pallavolo. Effettivamente i giocatori professionisti vengono tenuti rigorosamente sotto controllo medico, sottoposti a check up continui, non assumono farmaci che possano essere pericolosi, hanno un fisico ed un apparato cardiovascolare allenati, resistenti. Perché accade ciò? Il cuore di Morosini si è fermato subito e da quanto hanno dichiarato i soccorritori, nonostante il continuo ed immediato massaggio cardiaco, l’utilizzo del defibrillatore sul campo, l’ambulanza pronta (benché bloccata per un minuto infinito all’uscita da una vettura dei vigili del fuoco) ed i tentativi di rianimazione avvenuti in ospedale, anche con l’applicazione di un pacemaker, non ha neppure più accennato un solo battito.
Gli esperti interpellati hanno spiegato che in questi casi si parla di morti improvvise difficilmente prevedibili, magari causate da patologie congenite e nascoste, difficili da diagnosticare preventivamente. Solo l’autopsia potrà effettivamente stabilire la causa della morte del calciatore, che potrebbero anche essere extra cardiaca. Il professor Antonio dal Monte, tra i fondatori dell’Istituto di Scienza dello sport del Coni ha ricordato come l’Italia sia il Paese in cui si fanno più controlli medici sugli sportivi, rispetto al resto del mondo e che la cosiddetta “morte improvvisa da sport” è un caso noto e studiato da anni, seppur fortunatamente raro. Eppure anche un solo giocatore morto su di un campo sportivo sembra troppo. La riflessione va oltre però. Morosini era un professionista e da qualche tempo (non troppo), nei campi di serie A e B esistono i defibrillatori e delle persone in grado di utilizzarli. E nei campi delle serie minori? Purtroppo no.
E a morire sul campo sono giovanissimi atleti agonisti, o ragazzi in campi di calcetto. Giusto un anno fa, vi avevamo parlato dell’importanza di un defibrillatore in ogni campo sportivo e dell’impegno di una onlus nata in onore di un ragazzino morto su un campo di calcio. E solo casualmente in questi giorni Trenta Ore per la Vita ha organizzato insieme alla Croce Rossa Italiana una raccolta fondi per acquistare e distribuire defibrillatori presso le scuole statali e gli impianti sportivi pubblici, con una maratona sulle reti televisive della Rai. Un passo importante, soprattutto se consideriamo che i defibrillatori non sono neppure sempre presenti sulle ambulanze del 118. Un ragazzo splendido e forte come Morosini non ce l’ha fatta. Ma tanti altri potrebbero invece salvarsi. E’ accaduto anche ad un 46enne dilettante a Piacenza nelle stesse ore della tragedia di Pescara. Ciao Piermario.
Sul sito Legapro, la sequenza delle immagini del malore e dei primi soccorsi.
Fonte Foto: Legapro.