L’effetto placebo agirebbe con le stesse dinamiche chimiche dei farmaci. A sostenerlo, è Fabrizio Benedetti, professore di Neuroscienze all’Università di Torino e membro dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze (Inn), che ha ha pubblicato la sua ultima ricerca sulle pagine di “Nature Medicine”.
Come spiega Benedetti:
I farmaci agiscono tramite il legame a recettori specifici, la cui attivazione produce sia effetti terapeutici che effetti collaterali negativi. Gli stimoli psicosociali, attraverso meccanismi di condizionamento e di anticipazione, sono in grado di attivare specifiche sostanze (ad es. le endorfine nel caso del dolore, la dopamina nel caso del morbo di Parkinson), che si vanno a legare agli stessi recettori ai quali si vanno a legare i farmaci, producendo effetti simili a quelli prodotti da questi ultimi, sia terapeutici che collaterali. Questo concetto riveste un’importanza particolare, se si considera che esso implica un’interferenza tra il contesto psicosociale nel quale la terapia viene applicata e l’effetto specifico del farmaco o della procedura terapeutica. In altre parole, l’effetto del farmaco può subire una modulazione cognitiva ed emotiva.
Il ricercatore, tuttavia, fa una precisazione riguardo agli stimoli psicosociali come le suggestioni verbali del medico verso il paziente, che possono avere al contrario un effetto nocebo. Il rischio che questo avvenga, è maggiore quando la comunicazione è frettolosa, o quando si fa ambigua e carica di impressioni negative, che nel cervello del paziente si traducono in una sensazione di minaccia per la propria salute.
Lo studio del rapporto medico-paziente dal punto di vista delle neuroscienze è stato recentemente sintetizzato da Benedetti in un libro edito dalla Oxford University Press intitolato “The Patient’s Brain” (il cervello del paziente). Secondo il ricercatore, infatti, una buona relazione fra terapeuta e paziente produce un effetto positivo sull’esito della terapia e a dirlo sono anche gli studi di medicina, psicologia e sociologia.
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