La prima sperimentazione del vaccino contro l’ebola sull’uomo è partita lo scorso 8 ottobre su degli operatori sanitari in Africa. Si tratta ovviamente di una formulazione non ancora approvata, da testare per l’appunto in un trial.
Un passo che si è reso necessario e non più rimandabile dopo che secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è apparso evidente che l’epidemia abbia subito una forte accelerazione. Saranno in tutto 40 le perone che alla fine della sperimentazione avranno ricevuto il vaccino. Se tutto andrà come previsto ed i dati raccolti positivi, si potrebbe riuscire a causare un inversione di tendenza in merito ai contagi d’ebola in Liberia e negli altri paesi colpiti. Il vaccino utilizzato al momento è stato prodotto dalla scuola di Medicina dell’Università del Maryland. La soluzione messa a punto consiste in un adenovirus modificato per non scatenare la malattia negli umani ma contemporaneamente donare agli stessi l’immunità. Se funzionante potrebbe tra le altre cose evitare il potenziale contagio che continuamente si teme ( e si è già verificato, N.d.R.) tra malati e coloro che li assistono. La speranza è che la sperimentazione provi la sua sicurezza nell’inoculazione oltre che la sua efficacia.
Attualmente sono 8mila le persone che sono state colpite dal virus per un totale di oltre 3.800 morti. Questa epidemia è stata definita dai responsabili dei Centri di controllo delle malattie infettive statunitensi “peggiore” di quella dell’Aids degli anni ’80 in quanto ad impatto sociale. A rendere la situazione così difficile non solo il ceppo della malattia, tra i più pericolosi degli ultimi anni, ma l’incapacità e l’inadeguatezza con la quale il mondo sta approcciando il boom di contagi africani. Mancano adeguate risposte economiche e di personale, sempre più in pericolo e sempre più obbligato a lavorare con risorse limitate.
Se il vaccino in sperimentazione dovesse funzionare, finalmente si avrebbe un punto di partenza diverso dal quale poi muoversi per curare i malati.
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