Il morbo di Parkinson è una patologia degenerativa del sistema nervoso centrale e stando ai dati dell’OMS, colpisce in Italia circa 220mila persone, mentre in Europa lo 0,5% della popolazione. Secondo i ricercatori della Mayo Clinic in Arizona e del Banner Sun Health Research Institute la malattia potrebbe essere diagnosticata attraverso un’analisi della saliva.
La scoperta ha avuto una grande risonanza, poiché allo stato attuale delle cose non esistono test diagnostici per il morbo di Parkinson in senso stretto. Alcuni di voi, infatti, avranno sentito parlare del test farmacologico di rispondenza alla Levodopa, che viene effettuato come conferma dopo la valutazione clinica, ma questo rappresenta un innovativo passo in avanti. Lo studio, finanziato dalla Fondazione Michael J. Fox, sarà presentato ufficialmente a marzo al meeting annuale dell’American Academy of Neurology.
Come ha spiegato l’autore dello studio Charles Adler:
Abbiamo precedentemente dimostrato in autopsie di pazienti con Parkinson che le proteine anomale associate con il Parkinson sono costantemente presenti nelle ghiandole sottomandibolari salivari, che si trovano sotto la mascella inferiore. Questo è il primo studio che dimostra il valore di un test della ghiandola salivare per diagnosticare il Parkinson. La diagnosi rappresenta un grande passo in avanti nel nostro sforzo per comprendere la malattia e trattare meglio i pazienti.
La ricerca ha coinvolto 15 persone con un’età media di 68 anni, affette dal morbo di Parkinson da 12 anni e che non rispondevano ai farmaci per la malattia. Le biopsie sono state effettuate su 2 ghiandole salivari differenti (ghiandola sottomandibolare e quella del labbro inferiore), ma solo la ghiandola sottomandibolare si è dimostrata più affidabile. Le proteine anomale associate alla malattia sono state rilevate in 9 degli 11 pazienti che avevano tessuto sufficiente da studiare.
Dunque, lo studio fornirebbe la prima prova per l’utilizzo della biopsia delle ghiandole sottomandibolari come test diagnostico per i pazienti che convivono con questa malattia invalidante, e può essere di grande utilità soprattutto se si considera procedure invasive come un intervento chirurgico di stimolazione cerebrale profonda o la terapia genica.
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