Cybercondria? E’ il disturbo che affligge il malato immaginario dell’era moderna, quella persona che dopo aver letto in rete la scheda di una malattia o un articolo in rete in conferma di alcuni sintomi che prova immediatamente pensa di essere affetto da una patologia, spesso grave.
Vogliamo definirla ipocondria 2.0? E’ forse la definizione migliore. Ed è in pratica uno dei lati negativi dello sbarco della medicina in internet. Vengono chiamati cybercondriaci e di diverso dai “normali” ipocondriaci non hanno nulla, salvo un più facile accesso alle informazioni relative ai sintomi che si convincono di provare ed ai siti nei quali dare sfogo alle proprie preoccupazioni sullo stato di salute nel quale versano.
Attenzione, si tratta di un “morbo” equamente diffuso in tutto il mondo. In America è addirittura stimato che colpisca l’80% della popolazione, mentre nel nostro paese la percentuale scende ad un 32,4% circa: dato preoccupante, ma non eccessivo. Il problema rappresentato dalla cybercondria è l’amplificazione degli stati d’ansia ai quali le persone si trovano sottoposte. Partendo da un articolo trovato in rete si convincono di soffrire di un determinato problema e iniziano a prenotare ed a sottoporsi a visite specialistiche non necessarie.
A dare un idea abbastanza precisa del problema ci ha pensato una ricerca pubblicata recentemente sulla rivista di settore Cyberpsychology, Behavior and Social Networking e condotta dal professor Thomas Fergus della Baylor University di Waco, in Texas. Secondo il luminare la versione cybernetica dell’ipocondria può essere ancora più pericolosa di quella tradizionale. Commenta infatti:
Se io sono un tipo che non ama rimanere nell’incertezza quando si tratta della propria salute, la cybercondria non può che aumentare il mio stato di ansia perché mi spinge a fare continue ricerche online, a monitorare il mio corpo per scoprire nuovi sintomi o ad andare dal dottore con maggiore frequenza, diventando una sorta di circolo vizioso. Per fare un esempio, se avessi un bernoccolo in testa e mi capitasse di navigare su un sito di lesioni cerebrali da trauma, potrei arrivare a convincermi che la causa sia quella.
La ricerca si è avvalsa di un campione di studio di 529 persone di diversa età ed estrazione sociale.
Fonte | CBSN
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