I Disturbi Specifici Dell’Apprendimento sono oggetto di moltissimi studi e costituiscono un modello per lo studio degli altri disturbi e per la comprensione dell’ apprendimento normale. La dislessia evolutiva è uno dei DSA che riguarda la capacità di leggere in modo corretto e fluente. Si caratterizza come una mancata o parziale automatizzazione dell’uso dei codici della lettura nonché come una difficoltà a decodificare i testi scritti, che diventa un’ operazione molto più complessa rispetto ai non dislessici e porta ad una maggior facilità di errore, ad un maggior affaticamento e ad un’intrascurabile lentezza.
Questo disturbo specifico si evidenzia nonostante un’istruzione ‘normale’, un’intelligenza adeguata, un’integrità sensoriale e un ambiente familiare e socio o – culturale favorevole. Il disturbo permane anche dopo la fase di acquisizione iniziale delle abilità del leggere e dello scrivere (primo ciclo elementare). La persona con disturbo di dislessia evolutiva può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impegnando molte delle sue risorse attentive e delle sue energie mentali, poiché non può farlo in maniera completamente automatica come gli altri soggetti, di conseguenza si stanca molto, commette errori, rimane indietro rispetto ai propri compagni, ha poche energie attentive da spendere per la comprensione.
E’ come se i bambini dislessici vedessero sempre le parole per la prima volta e pertanto siano costretti a procedere tramite una lettura lettera per lettera. Questo causa un gran dispendio di energie e porta il ragazzo a una lettura corretta per le prime righe del testo scritto per poi peggiorare man mano nella performance. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura, nel calcolo e talvolta anche in altre attività mentali (memoria, percezione, linguaggio,…).
Tuttavia questi studenti sono generalmente intelligenti, vivaci e creativi. Errori caratteristici della lettura e della scrittura possono essere l’inversione di lettere e numeri (legge “al” invece di “la“e “51 “alposto di “15″); la sostituzione di suoni vicini come m/n (“mano” al posto di “nano”), fIv (‘Voce” al posto di “voce’), tld (“tue” al posto di “due”), slz (“Sara “al posto di “Zara’), c/g (“care” al posto di “gare”), c/g (“ciro” al posto di “giro’), p/b (“palla” al posto di “balla’). I bambini dislessici tendono a sostituire suoni scritti in modo simile come m/n dove la differenza è solo una gambetta (“muovo” al posto di “nuovo’); n/u dove la lettera è ribaltata (“nova” al posto di “uova”); p/q/d/b (“quove” al posto di “dove”; “paro” invece di “baro”; “dalla” al posto di “palla”; …).
I compiti scritti vengono vissuti dallo studente dislessico come fonte di ansia, dovuta ad un rapporto molto modesto tra grandezza dello sforzo cognitivo con un notevole dispendio di tempo e risultati scarsi o modesti. Secondo alcuni autori le cause della dislessia sono per il 60% organiche e per il 40% di tipo educativo. Le cause organiche purtroppo non sono ancora completamente note; una prima teoria, probabilmente la più nota, è quella della disconnessíone funzionale fra i centri cerebrali deputati alla decodifica della lettura; tra le varie articolazione di questa teoria, quella fonologica sembra essere quella più accreditata da un punto di vista delle attuali evidenze scientifiche.
Essa descrive la dislessia come una difficoltà dei ragazzi dislessici a manipolare i suoni rispetto ai non dislessici e nel passare dal codice visivo a quello uditivo e viceversa. Una seconda teoria è quella che parla della difficoltà di inibire gli stimoli visivi e orientare l’ attenzione in modo selettivo da sinistra a destra: il ragazzo dislessico avrebbe un campo visivo attentino troppo ampio e quindi gli stimoli periferici andrebbero ad interferire con la discriminazione visiva creando un problema di affollamento di stimoli. Sembra che i lettori dislessici percepiscano in modo meno chiaro rispetto agli altri lettori gli stimoli che si allontanano leggermente dalla fovea, viceversa percepiscano troppo distintamente gli stimoli alla periferia del campo visivo, che creerebbero in questo modo un affollamento di stimoli, rendendo confusa la discriminazione visiva. Il bambino dislessico discriminerebbe peggio di un buon lettore, perché non sarebbe in grado di inibire gli stimoli periferici.
Una terza teoria ipotizza una mielinizzazione (ricopertura delle cellule nervose) incompleta che non permette un’ attenzione focalizzata verso gli stimoli visivi e una conseguente difficoltà di discriminazione e decodifica degli stimoli visivi che stanno alla base della lettura . Tale disturbo interessa probabilmente il 34% della popolazione italiana. Il problema sta nell’individuazione dei dislessici da parte degli insegnanti e nell’orientare i genitori ad andare nei centri specializzati nella diagnosi di questo disturbo, perché molto spesso questi ragazzi non vengono riconosciuti e le cause delle loro basse prestazioni nella lettura vengono imputate a demotivazione, scarsa attenzione, relazioni familiari disturbate, scarso impegno mpegno nell’esercizio della lettura. Il ragazzo dislessico, consapevole delle proprie difficoltà di lettura, tende ad evitare le situazioni che richiedono una decodifica del testo scritto. Lo studente si percepisce inferiore ai compagni.