Da anni si parla sempre più spesso di doping genetico. Secondo il parere di alcuni studiosi come il professor Theodor Friedman dell’Università di San Diego, pioniere della terapia genetica, atleti geneticamente “dopati” sarebbero già tra noi. Più cauto, ma non per questo meno allarmato, un altro luminare di casa nostra, il professor Giuseppe Novelli, Preside della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Tor Vergata di Roma, che afferma:
“Non abbiamo ancora i mezzi per individuare chi fa uso di doping genetico, ma il problema potrebbe esistere”.
Per questo nei suoi laboratori sta già conducendo studi per trovare metodologie volte a scovare eventuali doping genetici e spiega cosa sia e quali sono i rischi di questa nuova frontiera del doping.Il doping, dunque, sconfina nella genetica. Più precisamente è figliastro di quelle tecnologie genetiche utilizzate per curare le malattie attraverso la modificazione dei geni. Con le alterazioni genetiche si riuscirebbe, infatti, ad incrementare capacità e caratteristiche fisiche di un atleta potenziandole al massimo.
“In poche parole –dice il Professor Novelli- il doping genetico è la possibilità di utilizzare cellule, geni o elementi genetici vari per cercare di migliorare le capacità atletiche di una persona, in maniera tale da poterlo fare in un modo endogeno, cioè senza prendere sostanze dall’esterno. Ognuno di noi ha delle caratteristiche genetiche particolari, si tratta in sintesi, di migliorare le caratteristiche fisiche già presenti nella persona interessata. Il vantaggio consiste nel disporre di una proteina che non viene da fuori, ma è parte dell’organismo. Infatti, già conosciamo dei geni in grado di migliorare la resistenza fisica e di sviluppare una maggiore forza muscolare”.
I geni che regolano la massa muscolare sono naturalmente presenti in ogni individuo, ciò che cambia, geneticamente da una persona all’altra, è che alcuni di noi hanno geni che si esprimono in forma maggiore e che per esempio ci rendono più tolleranti alla sforzo o che magari ci consentono di sviluppare una maggiore massa muscolare.
La possibilità di sbloccare la funzione che regola la produzione di proteine legate allo sviluppo muscolare (per esempio) porterebbe, in buona sostanza, a sbrigliare la nostra capacità fisiologica di sviluppare i muscoli oltre i nostri stessi limiti.
Conoscere questi geni (e in parte alcuni già si conoscono) comporterebbe la possibilità, nel caso del doping genetico, di poterli fare esprimere al massimo, cioè farli funzionare più di quello che il nostro fisico gli consenta, andando a generare una reazione che viene attuata all’interno dello stesso organismo.
“È questo l’elemento che rende difficile l’individuazione di chi fa uso di questa nuova forma di doping – dice il Professor Novelli. Io sono ottimista, nei nostri laboratori si sta già lavorando in questa direzione e credo che si riuscirà a trovare una soluzione”.
“I rischi del doping genetico ricadono in due aree – continua il Professor Novelli– quelli legati ai metodi di trasferimento genetico e quelli legati all’over produzione o inibizione del gene trasferito”.
Innestare un gene significa, infatti, far veicolare da un virus il suo patrimonio geneticamente modificato all’interno delle cellule, sfruttando le capacità di duplicazione della stessa. Questo può causare l’inserzione del nuovo elemento genetico in parti del genoma non opportune e indurre alterazioni nel funzionamento dei geni scatenando malattie tumorali o autoimmuni.
[Foto di: Filippo Coscetta]