Sbagliare è umano, ma quando questo accade in ospedale, sopratutto all’interno di una sala operatoria, l’errore viene fuori in tutta la sua tragicità. Comunicare ai familiari un errore medico che comporta conseguenze per la vita delle persone care non sempre è cosa facile, il più delle volte il timore di azioni legali porta il medico a celare dietro un velo d’omertà il proprio sbaglio. Sembra però che una corretta comunicazione dei fatti ridurrebbe i rischi di denunce. E’ ciò che è emerso da un indagine presentata durante il recente congresso nazionale dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) in cui è stata dedicata un’apposita sessione alla comunicazione fra chirurgo e paziente in caso di errori. Per questo tipo di inconvenienti esistono delle direttive ministeriali, ma di fatto, purtroppo, ognuno si gestisce a modo suo.
Le scuse, anche se potrebbe sembrare banale dirlo, sembrano fondamentali per far comprendere ai congiunti che il chirurgo direttamente responsabile abbia compreso a pieno la gravità dell’accaduto, un elemento questo in grado di ridurre le frustrazioni ed il dolore di chi subisce il danno. A dare la dura comunicazioni dovrebbe essere il medico che ha commesso lo sbaglio, una persona quindi con cui si è instaurato un precedente rapporto. Sono circa 320 mila gli errori che si verificano ogni anno e la metà di questi sono commessi all’ interno della sala operatoria. Secondo l’indagine condotta, che ha raccolto oltre 700 opinioni di medici specialisti, l’86,5% dei medici italiani trovano molta difficoltà nel comunicare l’eventuale sbaglio e dubitano che le semplici scuse possano servire a qualcosa e sopratutto ad arginare le possibili azioni legali che di fatto hanno una percentuale dell’87%. Però va tenuto in considerazione che un dottore indeciso, intimorito e non preparato a dovere a gestire una simile situazione conduce paziente e parenti in uno stato d’ansia e frustrazione che si traduce in un senso di tradimento portando a reazioni vigorose.
Errori e malasanità, di sicuro senza “scuse verbali”o spiegazioni anche nel caso di cronaca di questi giorni: un anno fa un uomo, Giuseppe Marletta è stato ricoverato per un piccolo intervento chirurgico (la rimozione di punti metallici dopo l’estrazione di una radice di un dente). Dopo 15 minuti dal risveglio dall’operazione, il coma senza ritorno, l’alimentazione forzata attraverso un sondino e l’impossibilità di trovare giustizia. Ora la moglie Irene Sampognaro, chiede aiuto e grida la sua disperazione:
“A questo punto è meglio farlo morire. Sono pronta a sospendere l’alimentazione forzata perché lo Stato ha ucciso mio marito e poi lo ha abbandonato al suo destino (…) Voglio che tutti sappiano quanto sono crudeli le nostre istituzioni – spiega- di fronte ad un allucinante caso di malasanità non riescono a garantire né giustizia né adeguata assistenza”.
Un caso disperato che riporta alla mente tante delicate questioni: errori medici, testamento biologico, assistenza sanitaria e psicologica adeguata ad affrontare simili drammi. In questa chiave la recente indagine condotta svela tutta la sua importanza non soltanto per il timore di evitare denunce ma per garantire un corretto supporto a pazienti e congiunti che non vanno mai abbandonati a loro stessi, lasciati alla deriva negli eventi tragici che posso capitare negli ospedali e nelle camere operatorie. Ecco questo, forse ci interesserebbe di più delle “scuse”.
[Fonti: Corriere.it]