Finora ha funzionato solo sulle scimmie e dunque non cominciamo subito a cantar vittoria, ma un farmaco ancora sperimentale pare sia riuscito a ridurre dell’11% la massa grassa di alcune cavie obese. Tale risultato eccezionale è stato ottenuto presso l’Università del Texas MD Anderson Cancer Center, che riporta come questo farmaco sia stato in grado di colpire selettivamente il tessuto adiposo delle scimmie usate come cavie, riducendo l’indice di massa corporea e la circonferenza addominale.
Secondo i medici che l’hanno realizzato, l’errore che veniva fatto finora con i farmaci per perdere peso era che questi sopprimevano lo stimolo della fame, dunque una persona che non aveva fame non mangiava o mangiava poco, finendo con il non avere le forze per qualsiasi attività quotidiana. Nella migliore delle ipotesi questi erano mirati ad accelerare il metabolismo, ma nessuno era così efficace come quello appena creato.
Il nuovo composto crea un agente che si lega ad una proteina che si trova sulla superficie del grasso presente nei vasi sanguigni, e rilascia un peptide sintetico che provoca la morte delle cellule. In questo modo non sono prese di mira tutte le cellule a caso, ma solo quelle del grasso che in questo modo vengono assorbite e metabolizzate.
Per lo studio erano stati testati prima dei topi, su cui si era registrata una riduzione del peso del 30%, poi è toccato alle scimmie (che non seguivano nessuna dieta particolare né facevano attività fisica mirata), perché più vicine all’uomo, su cui la riduzione è stata dell’11%. Vedremo quanto sarà sull’uomo quando si passerà alla fase successiva degli esperimenti.
Lo sviluppo di questo composto per uso umano fornirebbe un’alternativa non chirurgica per ridurre effettivamente l’accumulo di grasso, in contrasto agli attuali farmaci dimagranti che cercano di controllare l’appetito o prevenire l’assorbimento dei grassi alimentari
ha spiegato il co-autore senior Renata Pasqualini del Centro per la Ricerca Applicata sui tumori genito-urinari David H. Koch e docente del MD Anderson.
[Fonte e foto: Sciencedaily]