Contro il fumo arriva la proposta degli esperti, riuniti per la VI Conferenza Nazionale sulla BPCO «Quale futuro per i pazienti BPCO»: dedicare l’80% dello spazio disponibile sui pacchetti ai messaggi scoraggianti, ma senza insistere troppo sulle patologie, lasciando solo un 20% alla marca delle sigarette, mentre il logo scomparirebbe del tutto.
Cambiare la strategia di comunicazione potrebbe essere l’arma vincente per convincere le nuove generazioni a non fumare. Tuttavia, come spiega Stefano Centanni, presidente SIMER (Società italiana di medicina respiratoria) e Ordinario Malattie Respiratorie Università degli Studi di Milano:
la lotta contro le multinazionali è molto difficile, ma se si riuscisse potrebbe essere una svolta: annullare un marchio commerciale potrebbe determinare disaffezione.
Il fumo, infatti, è tra i principali fattori di rischio della BPCO, la broncopneumopatia cronica ostruttiva è una malattia polmonare progressiva, solo parzialmente reversibile con opportuni trattamenti farmacologici, E anche il fumo passivo può favorire l’insorgenza di questa patologia. Nonostante le avvertenze sui pacchetti, 12 milioni di persone fumano ben 70 miliardi di sigarette l’anno. Se consideriamo che in Italia, il fumo uccide oltre 70 milioni di persone ogni anno, di cui 20 mila solo per tumore al polmone, è legittimo pensare che i tentativi di persuasione finora messi in atto per tentare di arginare il fenomeno non funzionano come dovrebbero.
Inoltre, come sottolinea il professor Centanni, spaventare la gente con la minaccia di patologie mortali non serve a dissuadere dal vizio del fumo, come dimostra del resto il fallimento delle strategie di comunicazione fino ad oggi utilizzate. Al contrario, potrebbe essere più efficace richiamare l’attenzione su altri effetti legati al fumo come l’alito cattivo, i denti che diventano gialli, i capelli opachi, e la pelle spenta, il calo della libido.
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