Gli ossidanti come i radicali liberi, da sempre ritenute sostanze pericolose per la salute del nostro organismo, potrebbero aiutare a mantenere regolare la pressione sanguigna. A sostenerlo, sono i ricercatori del King College di Londra, che hanno pubblicato i risultati dello studio su “Nature Medicine”.
Sino ad oggi, infatti, si credeva che gli ossidanti (molecole che inducono lo stress ossidativo), fossero la causa dell’invecchiamento precoce e dell’insorgenza di tumori. Secondo i ricercatori inglesi, invece, potrebbero avere un effetto benefico sulla pressione arteriosa, “rubando” elettroni da altre molecole facendo scattare una reazione chimica in grado di prevenire la pressione alta.
Dallo studio, condotto su modello animale, è emerso come nei topi con una specifica mutazione di una proteina detta Chinasi-G, che rendeva impossibile sfruttare l’azione degli ossidanti, si sviluppasse l’ipertensione. Come ha spiegato il professor Philip Eaton, che ha coordinato la ricerca:
Il nostro lavoro apporta un cambiamento nel modo in cui la comunità scientifica guarda agli ossidanti. Vi è un crescente corpo di evidenze che questi sono prodotti nelle cellule sane in cui giocano un ruolo essenziale nel regolare le funzioni. Ora che abbiamo mostrato l’importanza degli ossidanti nel ridurre la pressione sanguigna quando si è in salute, siamo nella posizione ideale per valutare l’implicazione logica che alcuni casi di ipertensione si verificano perché questo percorso non funziona correttamente.
Secondo la dottoressa Helene Wilson, consulente di ricerca presso la British Heart Foundation, non è così semplice affermare che gli ossidanti sono “cattivi” e gli antiossidanti sono “buoni”. Questo studio suggerisce come la pressione arteriosa possa essere controllata grazie agli ossidanti, non sempre dannosi per il nostro organismo, e apre la strada alla produzione di nuovi farmaci per il trattamento dell’ipertensione, un disturbo che in Italia colpisce circa 13 milioni di persone, sempre più spesso giovani, e rappresenta un fattore di rischio per infarti ed ictus.
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