L’Aspirina, assieme al Clopidogrel, potrebbe aiutare a prevenire il tumore al fegato causato da epatite virale cronica. A sostenerlo è una ricerca condotta dal San Raffaele di Milano, in collaborazione con lo Scripps Research Institute di La Jolla in California, finanziata dall’ Airc, dal Ministero della Salute e dall’European Research Council. I primi risultati pubblicati sulla rivista scientifica Pnas sono incoraggianti.
L’Oms ha stimato che le persone affetta da epatite B e C cronica sono il 10% della popolazione mondiale, e ogni anno, circa 1 milione di pazienti con tumore al fegato, muoiono anche a causa della scarsa efficacia delle attuali terapie, basate essenzialmente su farmaci antivirali. Molti malati, infatti, non rispondono a questo tipo di cure, senza contare che l’epatite può presentarsi anche senza sintomi anche per diversi anni.
In realtà non sono i virus dell’epatite B o dell’epatite C a provocare direttamente il cancro al fegato, ma è l’attività dei linfociti T. I ricercatori del San Raffaele hanno condotto diversi esperimenti su topi con epatite cronica B e hanno riscontrato come la combinazione a basso dosaggio di Aspirina e Clopidogrel (farmaci anti-coagulanti) riducesse l’accumulo di linfociti nel fegato, e il rischio di cancro. Inoltre, sembra che la terapia antipiastrinica non provochi alcun effetto secondario indesiderato, come le emorragie.
Come ha spiega Luca Guidotti, responsabile dell’Unità di Immunopatologia del San Raffaele:
Prevenire l’insorgenza del carcinoma epatocellulare mediante l’uso di anti-piastrinici è un concetto innovativo che identifica le piastrine al centro di una malattia molto complessa. Il fatto poi che l’aspirina e il clopidogrel siano farmaci generici già approvati per il trattamento di disordini trombotici nell’uomo dovrebbe accelerare studi clinici in pazienti cronicamente infetti da HBV o HCV.
Gli studiosi, infatti, ipotizzano di iniziare la sperimentazione su pazienti in cui la malattia epatica non sia allo stadio avanzato, quando il rischio di sanguinamento è inferiore al rischio di trombosi.
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