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Geofagia, mangiare la terra contro batteri killer

 Cibi contaminati? Batteri killer? Combatterli con la terra, suggerisce qualcuno. Ma letteralmente, mangiandola.  Una soluzione che ad un primo acchito non appare avere un appeal esagerato, ma che secondo gli scienziati della Cornell Univeristy di New York rappresenterebbe uno dei mezzi più diretti per proteggersi da tossine, parassiti e tutte quelle sostanze dannose per il nostro corpo.

Parliamo di geofagia vera e propria. Una pratica in uso già nei tempi antichi e della quale anche Ippocrate ha parlato nei suoi studi.

Al momento si parla solamente di uno studio revisionale presentato dal team di ricercatori nella rivista di settore The Quarterly Review of Biology. La ricerca ha  visto i luminari analizzare più di 480 riscontri fisici relativi a questa pratica raccolti negli anni in relazioni scientifiche e pseudo tali composte da missionari, medici, antropologi ed esploratori. Un campione “statistico” davvero vario e decisamente dettagliato di tutti coloro che avevano mangiato la terra e delle circostanze nelle quali era stata praticata la geofagia.

Gli scienziati hanno prima di tutto rilevato che la stessa era praticata principalmente nelle donne ai primi mesi di gestazione, in gravidanza e dai bambini in età prepuberale. Ciò che si è pensato è che tale pratica fosse messa in atto come prevenzione, una sorta di vaccinazione contro tutte quelle tossine vegetali e gli agenti patogeni contenuti nei cibi. Si è altresì registrato che si tratta di una pratica maggiormente messa in atto nei climi tropicali, dove è più possibile una contaminazione. Non solo, la geofagia veniva messa in pratica, secondo i dati, specialmente durante il manifestarsi di malattie gastrointestinali.

L’auspicio dei ricercatori è quello di poter condurre un vero e proprio studio clinico sulla geofagia che sia in grado di convalidare attraverso delle prove scientifiche che questa pratica “tradizionale” ancora presente in alcune parti del mondo sia effettivamente efficace per preservare l’apparato gastrointestinale.

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Fonte: La Stampa