La pazienza è la virtù dei forti, si dice. Stando a questo metro di misura, i figli del terzo millennio appaiono piuttosto deboli. «Sìamo così abituati ad avere tutto e subito che qualche minuto di attesa in più ci fa perdere la testa» conferma Antonio Cantelini, docente di Psicologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Una ricerca inglese ha calcolato il limite massimo di attesa: che si tratti di un call center o di un cameriere al ristorante, in media si perde la pazienza dopo soli 8 minuti e 22 secondi.
La soglia di sopportazione si abbassa ancora quando si è al computer a non svolgere rapidamente il suo compito: nel 70 per cento dei casi, l’umore si altera se si aspetta più di un minuto per il download. Il punto di rottura, in particolare, scatta dopo appena 5 minuti e 4 secondi di attesa, giusto il tempo richiesto dall’acqua del tè per bollire.
«La giusta percezione del tempo è cambiata portandoci ad essere più veloci e reattivi»
commenta Cantelmi. Ma la tecnologia, anziché liberarci dalla schiavitù dell’attimo fuggente, infrangendo le sue barriere, ci ha resi schiavi dell’immediatezza.
«Bisogna imporsi un rallentamento: fermarsi non significa non muoversi, bensì muoversi meglio perché resi più forti da una riflessione che anche l’attesa in apparenza più fastidiosa può favorire».