La vitiligine, una condizione caratterizzata da macchie bianche che possono comparire su qualunque parte della superficie cutanea in seguito alla depigmentazione (perdita di melanina), è una malattia della pelle non contagiosa che colpisce dall’1 al 2% della popolazione mondiale. Ad oggi non esiste ancora una cura risolutiva, ma un team di ricercatori americani ha portato a termine uno studio dall’esito promettente.
La vitiligine è un disordine della pelle che si manifesta con la formazione di chiazze chiare a causa della mancanza del naturale pigmento della cute per la scomparsa dei melanociti deputati alla produzione della melanina. Attualmente non esiste una terapia definitiva, ma solo trattamenti per ridurre le manifestazioni cutanee.
La ricerca statunitense, condotta dai ricercatori della Loyola University di Chicago e pubblicata sulla rivista Science Transalation Medicine, apre nuove strade alla cura di questa malattia della pelle autoimmune nota sin dall’antichità. Il merito è tutto di una proteina chiamata HSP70, che in passato si già era dimostrata essenziale nel mediare la reazione immunitaria che porta alla distruzione dei melanociti.
La sperimentazione su base animale ha dimostrato come somministrando il DNA della proteina mutata ad un gruppo di topi il sistema immunitario non reagisse attaccando i melanociti. Gli animali predisposti alla vitiligine, infatti, non hanno sviluppato chiazze. Il risultato è stato ancora più sorprendente sui topi che avevano già iniziato a manifestare i sintomi della malattia. A 6 mesi dall’ultima delle 4 iniezioni di DNA hanno recuperato il 75% della melanina.
Ma la ricerca è andata ben oltre la sperimentazione animale e il gruppo di studiosi ha testato la stessa procedura su campioni di tessuto umano prelevati da pazienti e anche in questo caso la proteina mutata ha dimostrato di poter arrestare la reazione immunitaria che porta alla distruzione dei melanociti. A fronte dei risultati incoraggianti gli esperti hanno deciso di sottoporre una domanda di brevetto.
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