L’alcolismo, il gioco d’azzardo e la tossicodipendenza, così come tutte le altre forme di addiction vecchie e nuove non vanno più considerati come disturbi del comportamento, ma quali vere e proprie malattie del cervello. Anzi per essere precisi la dipendenza è un disturbo cerebrale cronico, non esclusivamente legato all’uso ed abuso di sostanze. Questa definizione è stata recentemente tracciata dalla ASAM, Società Americana di Medicina delle Dipendenze, dopo circa 4 anni di studio in cui sono stati coinvolti più di 80 esperti.
Ha spiegato il dottor Michael Miller, tra gli scienziati che hanno elaborato la nuova definizione:
“La dipendenza ha un’origine cerebrale che sviluppa problematiche comportamentali in ambito sociale, morale o anche criminale. E’ una malattia neurologica che nasce da dentro e non ha origine dall’esterno, dalle sostanze”.
Tale dichiarazione ha ulteriori implicazioni: la dipendenza assume carattere di malattia primaria: è lei l’origine di altri problemi, non è causata da disturbi psichiatrici o dall’alcool, tanto per fare un esempio. Va inoltre considerata come una patologia cronica che dunque necessita di controlli, verifiche e terapie che possono durare tutta la vita o comunque lunghi periodi. Questo nuovo concetto, nasce dalle scoperte scientifiche ed in particolare dalle acquisizioni neurofisiologiche degli ultimi anni che hanno dimostrato come la malattia della dipendenza colpisca il circuito cerebrale della “ricompensa”: gli impulsi del cervello si alterano e la percezione di gratificazione di esperienze precedenti (col cibo, col sesso, con le droghe, i farmaci, l’alcool, lo shopping, ecc) da origine ad un desiderio compulsivo.
Nascono distorsioni nel modo di operare e di pensare e dunque comportamenti non sociali e poco salutari. Cosa comporta tutto ciò, questa nuova definizione scientifica delle varie forme di dipendenza? Di sicuro una rivalutazione dell’aspetto sociale: il tossicodipendente (e similari) non va più stigmatizzato. E’ una malattia che deve essere curata, anche con terapie mirate “comportamentali”. Il “percorso di recupero” diventa come una pillola salvavita: non va mai sospeso.
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[Fonte: Asam.org]