Il paracetamolo è uno dei principi attivi di automedicazione più utilizzati per combattere infiammazioni, dolori e febbre. E’ un medicinale tra quelli con meno rischi per l’essere umano: ciò non toglie che un suo abuso sia da ritenersi pericoloso. In alcuni casi, un overdose di questo farmaco può condurre al trapianto di fegato. Una equazione è stata messa a punto per dirci quando questo è necessario.
Si tratta del frutto del lavoro degli scienziati dell’università dello Utah che nel corso di uno studio dedicato sono stati in grado di sviluppare un insieme di equazioni di calcolo atti a comprendere se è necessario per i pazienti affetti da “abuso” da paracetamolo essere sottoposti ad un trapianto di fegato per sopravvivere o basti semplicemente una terapia tradizionale.
Commenta il dott. Fred Adler, docente di Matematica e Biologia e coautore dello studio che ha sviluppato e testato il nuovo metodo di valutazione:
E’ un’importante opportunità per usare i metodi matematici per migliorare la pratica medica e salvare vite umane.
La ricerca, pubblicata sulla rivista di settore Hepatology, ha dimostrato che si può giungere ad una conclusione oggettiva e funzionale semplicemente basandosi sui risultati di quattro comuni esami di laboratorio: AST, ALT, INR e creatinina. L’equazione messa a punto è in grado di prevedere con precisione e soprattutto in modo rapido quali malati avranno bisogno di una delle cure specifiche previste per questo tipo di grave intossicazione.
Per verificarne la validità, il “metodo” è stato testato su 53 pazienti ricoverati per abuso di paracetamolo al policlinico legato all’università statunitense. Ed è stato verificato in ogni caso come l’equazione messa a punto sia da ritenersi valida non solo per la precisione ma per la velocità con la quale le informazioni necessarie vengono reperite al fine di salvare la vita ai pazienti. Distinguendo in pratica i casi dall’avvelenamento puro e semplice alla grave insufficienza epatica.
Lo studio proseguirà ora sui pazienti dei tre ospedali della vicina Università di Houston per confermare ulteriormente la validità di questa metodologia.
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Fonte: Hepatology