Avete mai avuto l’impressione che un neonato abbia uno sguardo particolarmente sagace e sveglio? Beh, tutto ciò corrisponde a verità: uno studio all’avanguardia, coordinato dal prof. Josh Tenenbaum del MIT è stato in grado di dimostrare come il cervello di un bambino molto piccolo funzioni quasi come un computer, è in grado di elaborare in tempi molto brevi vere e proprie simulazioni in grado di prevedere il verificarsi di eventi probabili.
Secondo lo studio del luminare, chiamato “3-6-12”, i neonati di tre mesi sono già in grado di effettuare dei veri e propri ragionamenti puri. Non solo, sarebbero capaci di analizzare la situazione in modo molto più diretto ed efficace dei loro corrispettivi adulti, proprio come dei piccoli geni. Questa ricerca, facente parte della “Intelligence Initiative” dell’ateneo americano, sta studiando bambini di 3-6-12 mesi per capire cosa sanno e comprendono del mondo fisico del quale fanno parte: un metodo per capire come funziona l’intelligenza umana fin dai suoi albori per poi provare a ricrearla artificialmente.
Il tutto parte dalle ricerche effettuate in passato dalla psicologa dell’Università di Harvard Elizabeth Spelke, la quale ha dimostrato come il livello di “sorpresa” di un bambino di fronte a un evento esterno sia quantificabile sulla la durata del suo sguardo sullo stesso. Lo scienziato del MIT, partendo da quell’assunto ha messo a punto il “modello dell’osservatore ideale”, un modello computazionale per il quale a partire da “principi astratti sulle caratteristiche degli oggetti” riesce a intuire come gli stessi si comporteranno. Di base si tratta di una riproduzione del comportamento dei cervelli dei neonati.
Spiega il prof. Tenenbaum:
In passato questi aspetti della cognitività dei bambini molto piccoli erano stati espressi sulla base di intuizioni, mai attraverso dimostrazioni pratiche e matematiche come queste, che mettono in campo modelli computazionali precisi. Il pensiero dei bambini piccoli è puro ragionamento analitico: calcolano la probabilità di un evento sapendo in maniera innata che un oggetto non può “teletrasportarsi” da un luogo all’altro o apparire o sparire nel nulla.
Di una cosa lo scienziato è certo: i neonati sono decisamente “più intelligenti” del modello sviluppato perché in grado di tenere conto di molte più variabili. Non solo: maggiore sarà lo sviluppo di questo modello in base agli esperimenti di questi bambini, maggiore la comprensione del “cervello emotivo” degli stessi, più facile sarà capire cosa non va, per esempio, nei bambini affetti da autismo.
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Fonte: Corriere della Sera