In gravidanza e durante l’allattamento al seno si raccomanda alle donne di non fumare a causa dei possibili danni trasferibili al nascituro. Ma la salute del feto potrebbe essere a rischio anche se il padre è fumatore. A sostenerlo una ricerca condotta dall’University of Bradford in Gran Bretagna, pubblicata su Faseb Journal.
Numerosi studi hanno dimostrato gli effetti del fumo attivo materno durante la gravidanza, quali: aborto, nati prematuri, malformazioni, distacco di placenta, infezioni del liquido amniotico, emorragie gestazionali, aumento della mortalità prenatale. La placenta, infatti, non è in grado di proteggere il feto dal veleno contenuto nelle sigarette, così le sostanze tossiche passano dalla madre al feto attraverso il cordone ombelicale.
Anche l’esposizione al fumo passivo può comportare dei rischi, tra cui un significativo decremento del peso alla nascita, e un rischio più alto di malattie respiratorie per il bambino, tra cui l’asma. Il feto, infatti, assorbe le stesse sostanze tossiche che assorbirebbe se fosse la madre a fumare direttamente.
Secondo gli esperti britannici, tuttavia, anche il papà che fuma può trasmettere il DNA danneggiato, e aumentare così il rischio per i figli di contrarre patologie tra cui il cancro. Come è emerso dallo studio, infatti, alcuni marker indicatori di danni al DNA contenuto nel sangue o nello sperma del padre durante il concepimento si ritrovano anche nel DNA dei figli.
Ll’autrice della ricerca Diana Anderson ha spiegato che:
Tramite dei biomarker molto sensibili siamo stati in grado di determinare il ruolo dell’esposizione al fumo nei padri prima, dopo e durante il concepimento. Esiste una correlazione evidente tra biomarker del danno da fumo nei padri e danni al Dna dei figli. Anche se questo studio non ha trovato un diretto collegamento, sembra abbastanza evidente che lo stile di vita del padre abbia una grande influenza sulla salute genetica del figlio.
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