Risale a ieri l’ennesimo tragico epilogo di un caso di depressione post-partum finito in tragedia: il 31 maggio scorso, una donna residente a Passo Corese, frazione del comune di Fara in Sabina (Rieti), aveva gettato dal balcone del secondo piano la sua bambina di appena sei mesi. La piccola, ricoverata nel reparto di Terapia Intensiva Pediatrica del Policlinico Gemelli di Roma, non ce l’ha fatta ed è spirata ieri, a causa di un trauma cranico che aveva provocato lesioni neurologiche troppo estese. Su decisione dei genitori, gli organi saranno donati.
Per arginare il fenomeno degli infanticidi, il Ministero della Salute sta prendendo in considerazione l’ipotesi della terapia extraospedaliera obbligatoria per le donne che hanno partorito da poco e sono depresse. A presentare la richiesta al ministro della Salute Ferruccio Fazio, Giorgio Vittori, presidente della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia), e Antonio Picano, presidente dell’Associazione Strade onlus. La sindrome di Medea ovvero l’infanticidio è il risvolto più grave della depressione post-partum. E’ lo stesso Picano a spiegare che
la depressione post-partum ha almeno tre forme. Quella più grave è una condizione decisamente patologica ma che, non ci si scandalizzi, ha una componente profondamente biologica. In natura è come quando una cagnetta mette al mondo nove cuccioli e ha solo otto mammelle. Inevitabilmente un piccolo muore. La donna affetta da depressione post-partum non può essere trattata come una qualsiasi criminale. L’impulso di eliminare il proprio figlio è purtroppo un sintomo tipico e ben conosciuto. Si tratta di una forza estranea alla volontà della persona contro la quale la donna depressa lotta strenuamente e di cui si vergogna profondamente: non può comunicare a nessuno i suoi pensieri, in particolare al marito, ma anche la mamma o la sorella vengono tenute all’oscuro di questo dramma.
I dati della letteratura scientifica affermano che la depressione post-partum riguarda il 10% delle donne. Nel nostro Paese interessa da 50 mila a 75mila neomamme ogni anno, con un costo sociale non indifferente, stimato in ben 500 milioni di euro in 12 mesi. La procedura ipotizzata da Vittori e Picano prevede l’applicazione del cosiddetto Tso, cioè il trattamento sanitario obbligatorio, fuori dall’ospedale, per quelle donne che manifestino sintomi di depressione e tendenze omicida. La libertà personale delle neomamme con questo tipo di sintomi verrebbe ad essere limitata già all’interno dell’abitazione e ad un’equipe specializzata spetterebbe il monitoraggio 24 ore su 24 delle donne che abbiano manifestato comportamenti potenzialmente omicidi. Secondo Strade Onlus i casi che richiedono questo tipo di intervento si stimano essere circa mille all’anno.