I farmaci biotecnologici si stanno rivelando degli alleati preziosi contro numerose patologie, tuttavia, il loro costo, nonostante la crescente richiesta da parte dei pazienti, resta ancora elevato. I biosimilari, rappresentano la risposta a questo bisogno, ma a prezzi sostenibili.
Come spiega la professoressa Flavia Franconi, docente ordinario di Farmacologia presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco all’Università di Sassari e presidente del Gruppo italiano Salute e Genere (GISeG):
I farmaci biotecnologici sono ottenuti mediante la tecnologia del DNA ricombinante e sono stati introdotti nella pratica clinica a partire dagli anni Ottanta. Tali medicinali sono prodotti usando microrganismi modificati mediante l’ingegneria genetica, in modo da ottenere sostanze che normalmente non possono essere sintetizzate. Si tratta cioè di proteine originate da linee cellulari geneticamente modificate, in grado di trascrivere la proteina di interesse farmacologico che, una volta purificata, può essere utilizzata per la somministrazione nell’uomo.
Se per i farmaci generici, la possibilità di andare a sostituire il medicinale corrispondente di marca è pressoché implicita, non accade lo stesso per quelli biotecnologici, poiché sono protetti da un brevetto. Inizialmente, infatti, la vendita da parte dell’azienda che lo ha messo a punto, è in esclusiva e solo quando il brevetto scade le altre aziende possono produrre copie simili, che sono, appunto, i farmaci biosimilari. Al pari di tutti gli altri medicinali, prima di poter essere acquistati, devono ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio, che viene rilasciata dall’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali), e che è chiamata a valutarne la qualità, l’efficacia e la sicurezza.
Dopo l’autorizzazione, il prodotto viene trattato come un farmaco del tutto nuovo dal punto di vista della farmacovigilanza. I biosimilari, a parità di qualità, sicurezza ed efficacia, costano molto meno degli originatori e potrebbero garantire un risparmio di almeno il 30% sulla spesa sanitaria nazionale e la sostenibilità dell’assistenza, eppure in Italia questi farmaci rappresentano appena lo 0,5% del mercato, contro il 18% della Germania. Un traguardo che il nostro sistema sanitario, dovrebbe mettere tra le priorità.