Quando si parla di Covid-19 si parla spesso di numero di contagi, vaccini ma si dimentica di parlare di come, per via della necessità di trovare posti letto per i malati più o meno gravi, si rischia di non avere abbastanza posti in terapia intensiva per curare altri pazienti, magari necessitanti di supporto per via di malattie cardiovascolari.
Troppe terapie intensive Utic convertite
I primi posti a farne le spese, quasi sempre, sono le unità di terapia intensiva cardiologica o UTIC che vengono convertite in terapie intensive per pazienti affetti da Coronavirus e la situazione viene peggiorata dal fatto che a causa del grande passaggio di pazienti per il Pronto Soccorso e la capacità non sempre presente di dividere i passaggi, i contagi tra il personale medico salgono, dando vita a conseguenze importanti proprio sulla gestione dei pazienti. Il Foce, Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi ha lanciato l’allarme, sottolineando il rischio che, fra qualche settimana, si potrebbero avere più morti per infarto che per Covid-19. La ragione? Le patologie cardiovascolari sono tempo-dipendenti e quindi per essere curate e risolte devono essere gestite per tempo. Come ha sottolineato Ciro Indolfi, Vicepresidente FOCE e Presidente SIC:
Durante la prima ondata della pandemia, uno studio della Società Italiana di Cardiologia (SIC), condotto in 54 ospedali italiani, ha valutato la mortalità dei pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno. A marzo 2020, si è registrata una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1 %. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente.
Mortalità cresce se malattie cardiovascolari non sono curate in tempo
Quando si parla di malattie cardiovascolari, ha spiegato il luminare, agire in fretta “può fare la differenza fra la vita e la morte“. Per ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave, infatti, la mortalità cresce almeno del 3% : motivazione per la quale non ci si può permettere che i reparti di cardiologia vengano depotenziati.
Ciò che deve essere fatto, come ha spiegato anche il presidente di Foce, il prof. Francesco Cognetti, è la preservazione della rete del trattamento dell’emergenza cardiologica. Vi è il dovere di proteggere i malati cardiologici e garantire continuità dell’assistenza di diagnosi e cura. Ragione per la quale i medici hanno richiesto al Governo di “stilare atti formali di indirizzo e coordinamento, per porre un argine a questa situazione” e di aiutare a potenziare le risorse sul territorio anche in un momento come questo.