La tubercolosi non rappresenta nel nostro paese un pericolo per la salute pubblica e non esiste alcun allarme circa il rischio di contrarla da persone immigrate. Questi i dati presentati lo scorso giugno a Madrid nel corso della conferenza su “TBC e AIDS nelle Popolazioni Migranti” e diffusi in questi giorni da ANLAIDS (Associazione nazionale per la lotta contro l’aids) in seguito alle notizie circolate in proposito su alcuni media.
Vale la pena di sottolineare che, pur evidenziando una relativa maggiore diffusione di questa infezione tra le persone migranti e straniere, l’esperienza fin qui condotta ha messo in evidenza la scarsa contagiosità della tubercolosi, documentata dalla infrequente presenza del bacillo di Koch nell’espettorato.
Così Vincenzo Vullo, della Clinica di Malattie Infettive dell’Università La Sapienza di Roma, e Tullio Prestileo, dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive Ospedali casa del Sole & Pisani di Palermo.
Conclusioni analoghe sono state raggiunte da altri gruppi di esperti europei e non. Piuttosto, concordano ancora gli studiosi, occorre mettere a punto programmi efficaci per identificare e curare precocemente la malattia.
Gli immigrati non rappresentano dunque in alcun modo un rischio per la salute pubblica. Eppure in molti, denuncia Fiore Crespi, presidente ANLAIDS onlus, ne sono convinti e la paura, ingiustificata, si tramuta per loro in indifferenza se non in malcelata acredine o, peggio, in odio e violenza. In un paese, il nostro troppo spesso accusato (che tremenda vergogna) di essere razzista e dove esiste il rischio reale di misure eccessive come il blocco dell’immigrazione.