Una forma ereditaria del morbo di Alzheimer è probabilmente rilevabile fino a 20 anni prima della comparsa dei primi sintomi come la perdita di memoria. Ad affermarlo è uno studio americano presentato di recente all’Alzheimer Association International Conference di Parigi. Ciò pare essere possibile grazie a cambiamenti misurabili nella chimica del cervello che iniziano a mostrarsi anni prima che i sintomi della malattia degenerativa si manifestino.
I risultati si applicano solo ad una piccola frazione – meno dell’1% – dei malati di Alzheimer affetti da una variante rara che colpisce generalmente in età relativamente giovane. Ma la capacità di identificare i primi segnali di pericolo chimico nel cervello ha in sé la prospettiva di un trattamento preventivo, non solo per questi pazienti, ma forse anche per quelli colpiti da forme più comuni della malattia, si augurano i ricercatori.
Vogliamo evitare danni e perdita di cellule cerebrali intervenendo precocemente nel processo della malattia, anche prima che i sintomi esteriori siano evidenti, perché a quel punto potrebbe essere troppo tardi
ha spiegato il ricercatore capo Randall Bateman, docente della Washington University School of Medicine. Il tipo di Alzheimer esaminato nello studio nasce da una mutazione genetica che garantisce che una persona svilupperà la malattia, anche se solo un genitore la trasmette. Nella stragrande maggioranza dei casi di Alzheimer, tuttavia, la malattia insorge attraverso una complessa interazione di fattori genetici e ambientali che rimane ancora poco chiara.
In tutto il mondo, più di 35 milioni di persone sono affette dalle diverse varianti della malattia, un dato che è destinato a triplicare entro la metà del secolo con l’invecchiamento medio della popolazione. Per il nuovo studio, Bateman e colleghi hanno analizzato i dati di una serie di test effettuati sui portatori della mutazione rara. Gli stessi test – valutazioni cognitive, la tomografia ad emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica (MRI), e la ricerca di marcatori rivelatori nel liquido cerebro-spinale e nel sangue – sono anche stati fatti sui fratelli che non hanno mostrato la variante genetica in questione.
I partecipanti destinati a sviluppare l’Alzheimer non avevano ancora mostrato sintomi vista la giovane età, verso la fine dei 30 anni, ma alcuni hanno mostrato i primi segni della malattia già intorno ai 45 anni. Poiché la malattia è così rara, i dati dovevano essere raccolti da una rete internazionale di 11 centri di ricerca negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, ed hanno riguardato 150 volontari in un programma che, alla fine, ne ha compresi oltre 250.
Lo studio ha esaminato, in particolare, i cambiamenti nella firma chimica del cervello legata a due tipi di proteine comuni a tutte le forme di Alzheimer. Uno è un livello ridotto nel fluido spinale di una proteina chiamata amiloide-beta42. Al contrario, questo indica un pericoloso accumulo della proteina stessa in alcune aree del cervello che distrugge i neuroni e alla fine porta a danni cerebrali irreversibili.
Il marcatore è stato un altro aumento di tau, la componente principale dei neuro-grovigli di fibre che contribuiscono anche alla morte cellulare. Come sospettato, i soggetti sotto i 40 anni con la mutazione genetica hanno mostrato entrambe le caratteristiche, mentre i loro fratelli senza mutazione no.
Questo suggerisce che possiamo misurare anomalie chimiche del cervello nei portatori del gene del morbo di Alzheimer che iniziano almeno 10 anni, forse anche 20 anni, prima dell’età in cui i loro genitori hanno mostrato i primi sintomi dell’Alzheimer. Crediamo di poter imparare molto di più sulla stragrande maggioranza delle persone in cui il morbo di Alzheimer si sviluppa come risultato di complesse interazioni tra i loro geni, esperienze di vita e altri fattori. La diagnosi precoce e la cura sono fondamentali se si vuole arginare la crescente epidemia
ha concluso Bateman.
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[Fonte: Health24]