Pur essendo definita unanimemente una malattia sociale, l’osteoporosi, che colpisce quasi 5 milioni di italiani (dei quali 3.600.0000 sono le donne) ha ancora molti lati oscuri da illuminare. Eccovi un vademecum da leggere attentamene e da tenere a portata di mano, per ricordarvi che la prevenzione, anche in questo caso, è la miglior cura di ogni malattia. Pur essendo una patologia tipicamente femminile, rappresenta un problema di salute pubblica anche nei maschi. La forma più comune di osteoporosi maschile è associata ad ipogonadismo (produzione insufficiente di ormoni da parte delle ghiandole sessuali), alcoolismo, mieloma multiplo, íperparatiroidismo, malassorbimento ed uso di corticosteroidi.
L’osteoporosi si manifesta inizialmente con una diminuzione della quota di calcio nella massa ossea, soprattutto nelle vertebre dorso-lombari, nel polso e nel femore. Con l’evoluzione del processo è possibile incorrere in fratture definite patologiche (perché provocate da un trauma di lieve entità). Non è facile, almeno allo stadio iniziale, individuare i sintomi della malattia, in quanto essa non provoca gravi disagi, ed il paziente si rivolgerà al medico solo qualora si verifichi una complicanza, come ad esempio una frattura.
Il metodo diagnostico per eccellenza è la densitometria, consistente nella misurazione della massa ossea, Il metodo più diffuso va sotto il nome di Dexa o DXA (Densítometría assiale a raggi X) e comporta un’esposizione minima a radiazioni. Fa bene eseguire una densitometria ossea nelle donne oltre i 65 anni; in quelle di età inferiore, e negli uomini, tale indagine va riservata ai casi di magrezza eccessiva, uso di farmaci che possono causare riduzione della massa ossea, condizioni morbose potenzialmente pericolose, menopausa precoce (prima dei 45 anni), ecc.
Successivamente alla diagnosi, sarà necessario effettuare un follow-up, per valutare l’efficacia della terapia. La densitometria andrebbe ripetuta ogni 2 anni nei soggetti a rischio. I consigli principali per ridurre il rischio e per ritardare una terapia di tipo farmacologico sono:
- fare attività fisica non intensa (es. 30 minuti al giorno di camminata, almeno 5 volte la settimana) per rafforzare lo scheletro.
- assicurarsi un giusto apporto di calcio, vitamina D, proteine e, più in generale, seguire una dieta equilibrata.
- limitare, per quanto possibile, l’uso di psicofarmaci, in quanto associati ad un maggiore rischio di cadute, specialmente tra gli anziani.
- eliminare i fattori di rischio modificabili, in particolare fumo ed eccessivo consumo di alcolici.
I principali farmaci utilizzati nella terapia sono: Bifosfonati (principalmente alendronato e risedronato), una classe di farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo. Osteoformativi, che favoriscono la formazione ossea, indicati nei casi di osteoporosi più grave o di insuccesso degli altri farmaci. Farmaci DAGA (Dual Action Bone Agents), rappresentati principalmente dal Ranelato di Stronzio, che hanno dato risultati molto promettenti grazie alla doppia azione sul metabolismo osseo: stimolano la produzione e riducono il riassorbimento dell’osso.
Sono stati notati effetti positivi anche con terapie a base di: diuretici tiazidici (trattengono il calcio altrimenti eliminato con le urine) e anti-infiammatori non steroidei (FANS, es. paracetamolo, aspirina e nimesulide). Un discorso a parte va fatto per la Terapia Ormonale Sostitutiva, che consiste nella somministrazione di estrogeni (con o senza associazione progestinica) per ridurre il rischio di fratture. Tale terapia non è indicata nella maggior parte dei casi, in quanto i rischi (carcinoma della mammella, ictus, cardiopatia ischemica, ed eventi trombo-embombolici) sono maggiori dei benefici. La TOS può essere utile per le donne in menopausa non oltre i 55 anni di età che soffrono di sindrome climaterica (transizione dalla vita riproduttiva alla menopausa),