La disabilità intellettiva? Quella di forma genetica potrebbe venire in futuro curata attraverso una terapia specifica. E’ questa l’ipotesi ventilata dalla dott.ssa Silvia Bassani, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano e dell’Istituto Telethon,sulla rivista di settore Neuron in merito alla scoperta del meccanismo molecolare riscontrato alla base del deficit di apprendimento.
Parliamo della disabilità legata al cromosoma X e di come si potrebbe agire su di essa. Lo studio, finanziato da Telethon e dalla Fondazione Mariani, dimostra per la prima volta il ruolo e l’importanza della proteina TSPAN7, che nei pazienti affetti da questo tipo di patologia risulta alterata, portando ad un funzionamento non corretto di uno dei “messaggeri” più importanti del nostro cervello, il recettore di tipo AMPA per il glutammato.
Spiega la coordinatrice della ricerca:
Questo neurotrasmettitore è coinvolto in numerose attività cerebrali, tra cui memoria e apprendimento per esercitare il suo ruolo, però, è fondamentale che le cellule nervose siano in grado di captarlo correttamente, grazie ad appositi recettori situati sulla loro superficie. Come abbiamo dimostrato, nei pazienti affetti da disabilità intellettiva legata al cromosoma X il difetto genetico nella proteina TSPAN7 si traduce in un trasporto inefficiente sulla superficie dei neuroni di uno dei recettori del glutammato, quello di tipo AMPA”.
Spiegato in poche parole, il problema risiede nel gatto che il recettore in questione viene “eliminato” troppo velocemente dalla superficie del neurone, causando una riduzione dei “messaggi “ passati attraverso questo particolare mediatore.
Partendo da questi risultati, gli scienziati del CNR proveranno a testare alcuni farmaci in modo da capire quali potranno essere considerati efficaci nel mantenere questo ricettore il più a lungo possibile sulla superficie della cellula cerebrale. Al momento sono due i medicinali esistenti ed utilizzati “in ambito clinico” in grado di ottenere questo risultato. Se si dovesse palesare un ripristino delle funzioni difettose per cause genetiche “in vivo”, i ricercatori potrebbero proporre l’utilizzo anche nell’uomo al fine di stimolare almeno un parziale recupero delle capacità.
Non sarà un percorso immediato: potrebbero volerci almeno due anni, nei quali gli scienziati continueranno a studiare, parallelamente, il funzionamento dei meccanismi di comunicazione cerebrale.
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Fonte: Neuron