E’ stato fatto un ulteriore passo avanti sul meccanismo d’azione dell’anandamide, una sostanza prodotta dalle nostre cellule cerebrali in grado di esercitare un’importante azione antidolorifica sulle malattie infiammatorie. A sostenerlo è lo studio coordinato dal prof. Daniele Piomelli, Direttore del Dipartimento D3 (Drug Discovery and Development) dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Questa sostanza, appartenente alla categoria degli endocannabinoidi, viene prodotta naturalmente dal nostro organismo ed esercita un’azione analgesica nell’ambito delle malattie di natura infiammatoria come l’artrite e in caso di dolore neuropatico (che ha origine nel sistema nervoso periferico). L’anandamide, infatti, nel momento in cui avviene un danno al tessuto, viene rilasciata dalle cellule presenti in quel tessuto riducendo l’infiammazione e il dolore. Una volta conclusa quest’operazione, l’anandamide entra in contatto con le cellule dalle quali viene distrutta attraverso un processo di degradazione chimica.
In studi condotti precedentemente dallo stesso professor Piomelli, è emerso come la degradazione dell’anandamide all’interno delle cellule è dovuta all’azione di una proteina chiamata Faah (fatty acid amide hydrolase). Al contrario, è rimasto a lungo sconosciuto il meccanismo che consente alle cellule di inglobare questa sostanza. Questa ricerca, per la prima volta, ha identificato il principale responsabile di tale meccanismo.
Si tratta di una proteina che lega l’anandamide e la trasporta all’interno della cellule perché sia degradata dalla Faah. La nuova proteina, presentando una struttura simile a quella della Faah è stata chiamata Flat (Faah-Like Anandamide Transporter), ma anziché distruggere l’anandamide la ha il compito di trasportarla. Il gruppo di studio ha perciò ipotizzato che bloccando la Flat e la sua azione di trasporto si potrebbe ridurre la degradazione dell’anandamide e potenziarne l’effetto antidolorifico.
Come spiega il prof Piomelli:
La ricerca più avanzata nel campo dell’analgesia si concentra sempre più sullo studio dei meccanismi di protezione che il corpo umano mette naturalmente in atto e sulla possibilità di potenziarne gli effetti. I farmaci analgesici presenti oggi sul mercato espletano la loro attività attraverso l’attivazione diretta di recettori cellulari, come ad esempio gli oppiacei, con i ben noti effetti collaterali conseguenti alla loro assunzione. Questo studio, invece, dimostra che potenziare i meccanismi di protezione endogena dell’organismo, non solo è possibile, ma è sempre più vicino a diventare una realtà, con nuove classi di farmaci.
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