Veleno di serpente per aiutare i pazienti cardiopatici? E’ il possibile risultato di una ricerca considerabile pionieristica e che potrebbe aprire, perfezionandone l’utilizzo, nuove strade per il trattamento di coloro che soffrono di problemi di coagulazione sanguigna.
Il serpente “protagonista” di questo studio è il Taipan, (chiamato anche Oxyuranus) considerato il terzo rettile più velenoso al mondo. Ma come per molti altri elementi naturali, anche il suo veleno se utilizzato in piccolissime dosi può rivelarsi utile per fini terapeutici. Questo serpente è lungo più di tre metri, originario dell’Australia ed è in grado di uccidere un uomo in 30 minuti. E ci riesce proprio perché agisce sulla coagulazione del sangue. La sua vittima, una volta morsa, nel giro di pochi minuti inizia a sanguinare copiosamente.
E’ questa sua pericolosità in un certo la sua peculiarità, visto che i ricercatori del Q-Sera hanno concentrato i loro sforzi proprio per sviluppare, in base a tale assunto, una particolare tecnologia di coagulazione da utilizzare nelle provette durante il prelievo del sangue. E da qui poi, in via del tutto sperimentale, si potrebbero testarne le capacità di divenire un vero e proprio farmaco anticoagulante. Ovviamente la strada è ancora lunga da percorrere. Ma patendo da questo strumento messo a punto per gli esami del sangue e la conservazione del materiale ematico è possibile comprendere quanto ampia sia la raggiera di opportunità. Spiega il dott. Goce Dimesky, uno dei firmatari dello studio sul veleno del serpente Taipan:
Il veleno di serpente ha la capacità di interferire con la coagulazione del sangue e la coagulazione del sangue per fare il siero per le prove di patologia è un grosso problema, in particolare per i pazienti in terapia con anticoagulanti, tra cui pazienti cardiopatici. Possono sballare un esame del sangue. E se il test del sangue non è preciso, ottenere il giusto equilibrio del farmaco può essere difficile, causando disagio per i pazienti, con un costo maggiore per il contribuente a causa del fatto che è necessario ripetere il test.
Lo studio in questione è stato finanziato dallo stesso governo australiano. La speranza è che entro i prossimi tre anni i risultati possano cambiare davvero l’approccio della medicina nei confronti dei pazienti cardiopatici e della loro cura.
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