I topi che hanno sentito un certo suono mentre si spaventano, collegano le due cose, permettendo di far ritornare questo collegamento nel cervello in un secondo momento, quando riascoltando lo stesso suono essi si spaventano, anche se questa volta non c’è alcun pericolo. Un farmaco iniettato nel loro cervello però è in grado di ridurre questa paura quasi come un metodo di cancellazione.
Il lavoro suggerisce che gli scienziati potrebbero essere in grado di sviluppare nuovi tipi di farmaci per il trattamento dei disturbi d’ansia, che colpiscono centinaia di milioni di adulti in tutto il mondo ogni anno. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se i risultati si applicano anche agli esseri umani i quali sperimentano la paura, anziché “impararla”.
Lo studio è stato pubblicato sul numero di giugno della rivista Science, e descrive come un ratto impara ad associare un suono ad una scossa elettrica. La risposta al terrore può essere invertita con una sorta di “allenamento all’incontrario“, cioè ripetutamente esponendo i topi a quel suono senza causargli lo shock. Studi precedenti hanno dimostrato che tale processo non cancella un ricordo precedente della paura condizionata, ma piuttosto crea una nuova memoria associando il suono alla sicurezza.
Quando questa nuova memoria si forma, il cervello subisce cambiamenti nelle connessioni, o sinapsi, fra i neuroni. I farmaci che bloccano questa plasticità sinaptica compromettono la capacità di riformare i ricordi che una volta provocavano terrore, quando iniettati in una regione del cervello chiamata corteccia prefrontale infralimbica (ILC). Ma i topi continuavano ugualmente a spaventarsi al suono.
La ricerca precedente ha suggerito che una proteina chiamata fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), fa il contrario, provocando la cancellazione del comportamento appreso. Gli scienziati ritengono che questo accade perché il BDNF sostiene la crescita e la sopravvivenza dei neuroni, permettendo un’esperienza di apprendimento per effettuare le connessioni tra i neuroni più forti e prevalenti.
Con l’introduzione della BDNF direttamente nella corteccia cerebrale, la capacità dei topi di avere maggiore “coraggio” di fronte ad un suono un tempo temuto veniva rafforzata. L’effetto durava anche nel giorno successivo all’inoculazione, segno che è duraturo, anche se non permanente.
I ricordi infatti restano. Il BDNF non ha ridotto l’ansia generale o modificato la tendenza degli animali a scappare. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che quest’operazione non ha completamente cancellato il ricordo originale della paura, solo che i ratti con più bassi livelli di BDNF avevano meno probabilità di successo nell’evitare di scappare di fronte al suono spaventoso, rispetto a quelli con livelli più alti.
A conclusione dell’articolo, il dottor Thomas Insel, direttore del NIH’s National Institute of Mental Health, ha spiegato che questa scoperta potrebbe essere applicata nella risoluzione dei casi di persone con alcuni disturbi mentali:
Questo lavoro sostiene l’idea che i farmaci potrebbero essere sviluppati per aumentare gli effetti del BDNF, offrendo l’opportunità di un trattamento farmacologico del disturbo da stress post-traumatico e da altri disturbi d’ansia.
[Fonte: Livescience]