Probabilmente è la società che i media e le persone hanno contribuito a costruire, basata in buona parte sull’apparenza la causa di tutto, ma secondo uno studio recentemente condotto dai ricercatori dell’università di Chicago, negli Stati Uniti e pubblicato sulla rivista Nature, i ragazzi soffrirebbero psicologicamente più per una ipotetica impopolarità tra coetanei che per lo stress derivante dall’obbligo del ritorno ai banchi di scuola con i conseguenti e monotoni ritmi sonno-veglia.
A quanto pare quelle scene così particolari che ci capita di vedere nei film, dove vi sono ragazzine che si disperano perché non all’ultima moda equivalgono davvero alla realtà dei fatti. Quello dei vincenti e dei perdenti, dei popolari e dei “loser” è uno scontro psicologico che è attivo anche nelle nostre scuole, sotto il nome di bullismo.
Si tratta di un “modus” vivendi che i ragazzi di ogni età mettono in atto per dimostrare la loro supremazia l’uno sull’altro, per sentirsi forti. Una tipologia di comportamento che spesso nasce da una scorretta base che viene data al ragazzo o alla ragazza in famiglia, secondo la quale il più forte, il più prepotente, colui che ha più soldi e può permettersi l’accessorio firmato è meglio degli altri e quindi può sentirsi in diritto di fare ciò che vuole.
Ed è per questo che la scuola piuttosto che rappresentare un problema per la quantità di compiti e gli standard di studi richiesti, diventa il campo di confronto e di conseguente battaglia per la supremazia. E’ l’idea stessa, traviata, del successo a creare queste distinzione. Ecco quindi che l’essere esteticamente non adatto (in quanto aspetto, comportamento, aspettative) diventa poi sinonimo di essere stupidi, perdenti, con la conseguente messa a dura prova delle performance scolastiche. E lo studio americano, condotto dal Sian Bellock e dal suo team, ha dimostrato come tale “corrente di pensiero” arrivi a lambire anche l’ambiente universitario:
In una settantina di studenti universitari che dovevano affrontare un importante test di abbiamo misurato le capacità di calcolo e, al momento dell’esame, i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nella saliva. Tra quelli candidati ai voti più alti, l’effetto esame metteva in luce l’idea che il ragazzo aveva di sé: se era convinto di essere bravo in matematica, la pressione psicologica non faceva che potenziare i risultati; se invece, a pari capacità, si sentiva insicuro, la tensione finiva per penalizzarlo.
Il tutto era dovuto ad un contesto di giudizio e “pre-giudizio” che gli studenti sentivano su di loro. Per risolverlo bastava mettere per iscritto le proprie paure.
Per far si che i ragazzi possano crescere in modo ottimale dal punto di vista psicologico, senza inficiare né il proprio, né l’altrui rendimento scolastico, è necessario che fin dal nucleo famigliare si tenti una mediazione tra le aspettative e la realtà, non giudicando, ma sostenendo, ed insegnando il rispetto per gli altri.
Photocredit: Meangirl- film basato su scontro tra popolari ed impopolari a scuola
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Fonte: Nature