La Sindrome del burnout è uno stato di sofferenza psichica che interessa quasi esclusivamente gli operatori del terziario sociale, ovvero tutte quelle professioni nelle quali il rapporto operatore-utente rappresenta un elemento centrale per lo svolgimento del lavoro. Ad essere interessati da questo fenomeno sono dunque gli ambiti lavorativi nei quali gli operatori sono costantemente in contatto con l’utenza e devono provvedere alle esigenze di ogni singolo individuo. E’ il caso di medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, ma anche insegnanti, per citare solo alcune delle categorie professionali coinvolte.
La persona affetta da burnout sperimenta uno stato di disagio legato allo svolgimento della propria attività professionale che comincia ad essere vissuta unicamente come fonte di stress. Questo induce ad una progressiva perdita di interesse e di concentrazione e ad un atteggiamento freddo e distaccato cui si aggiunge la sensazione sgradevole di non svolgere il proprio lavoro in maniera adeguata.
I primi studi sul burnout, nonostante il fenomeno fosse noto da tempo, cominciarono negli anni settanta, prima di allora infatti il fenomeno era considerato un problema circoscritto ad un esiguo numero di operatori, perlopiù a causa del loro temperamento personale. Con il progredire di studi e ricerche in ambito accademico si scoprì che non era affatto così e che il burnout è fenomeno strettamente legato a contesti professionali logoranti dal punto di vista emotivo, dotato di caratteristiche precise e ben individuabili attraverso appositi strumenti di valutazione. Furono Christina Maslach e Susan Jackson ad individuare, negli anni ottanta, le tre componenti principali delle Sindrome da burnout: l’esaurimento emotivo , che porta l’operatore a sentirsi stanco del proprio lavoro, come svuotato, la depersonalizzazione, che consiste in un atteggiamento di freddezza, distacco, spesso di cinismo e, infine, la ridotta realizzazione personale che induce un senso di inadeguatezza che porta il lavoratore a giudicare negativamente se stesso e il proprio operato nei confronti dell’utenza.
Dagli studi condotti dalla stessa Maslach è emerso che le tre dimensioni della sindrome costituiscono una sorta di reazione a catena innescata dal sovraccarico emotivo cui questi lavoratori sono quotidianamente sottoposti. Posti dinnanzi a una quantità di relazioni lavorative percepite come emotivamente sopraffacenti gli operatori sperimentano una sensazione di spossatezza psichica che si configura come esaurimento emotivo, in risposta a tale situazione mettono in atto un atteggiamento difensivo attraverso il quale provano a limitare il proprio coinvolgimento emotivo fino a porre fra sè e gli utenti un vero e proprio muro che li fa apparire freddi, distaccati a volte addirittura cinici. Da tutto ciò può derivare la sensazione di non svolgere il proprio lavoro in maniera adeguata e, di conseguenza, un sentimento di mancata realizzazione professionale. Anche le caratteristiche di personalità dell’operatore sembrano comunque avere un ruolo nell’insorgenza della Sindrome, tuttavia secondo la Maslach ad incidere maggiormente su di essa sono le caratteristiche delle relazioni interpersonali che il lavoratore intrattiene tanto con gli utenti quanto con i colleghi e i superiori.
Ad avere approfondito il ruolo delle componenti intrapsichiche dell’individuo nella Sindrome da burnout è stata invece Ayala M. Pines. Secondo l’autrice la sindrome insorge principalmente in quei lavoratori che, fortemente motivati nell’ intraprendere una determinata professione, investono tutte le proprie energie su di essa elevandola a mezzo principale di realizzazione personale. La sindrome riguarderebbe quindi quei lavoratori che vivono la professione come la missione principale delle loro vita, i quali, dinnanzi ad un contesto lavorativo che non risponde alle loro, elevate, aspettative iniziali andranno incontro ad una perdita progressiva della motivazione e quindi al burnout.