Si fa presto ad arrivare a quarant’anni senza avere ancora realizzato il desiderio di avere un figlio. Niente paura, le gravidanze over 40 oggi non sono più ù un tabù, almeno dal punto di vista medico. Secondo un indagine dell’Istituto nazionale di statistica i bambini nati da signore nel fior fiore degli “anta” sono stati 27.938 nel 2006. Al di là di scelte personali e insindacabili, gli esperti dicono che l’età ideale per avere figli è compresa tra i 25 e i 35 anni. Nella fascia di età tra i 35 e i 40 la maternità è un evento ancora abbastanza sicuro, anche se non è totalmente privo di rischi. Di sicuro sappiamo che la fertilità diminuisce, e questo fattore rende più frequente il riscorso a tecniche di fecondazione assistita.
Inoltre, con gli anni diventa più difficile condurre a termine la gravidanza e sono maggiori le probabilità di aborto o di problemi nel terzo trimestre di gravidanza. Inoltre donne fumatrici o con fattori di rischio cardiovascolare possono avere una difficoltà del letto vascolare uterino di adattamento alla gravidanza, la qual cosa può portare a patologie durante l’ultimo trimestre di gestazione. Sono più frequenti anche i rischi legati a una possibile ipertensione gestazionale, che si verifica in media nel 5 per cento delle gravidanze. Lo stesso parametro sale al 35 per cento nelle donne di 50 anni che hanno usato tecniche di fecondazione.
Anche il rischio di mortalità materna è maggiore, anche se nei Paesi occidentali resta un evento molto raro. Se avere un figlio dopo i 40 non è un grosso problema per la mamma, per il bambino le cose vanno un po’ diversamente. Cè un rischio genetico superiore vale a dire che aumenta la probabilità di concepire un bambino affetto da trisomia 21 (sindrome di Down) o da altre patologie cromosomiche. La probabilità di generare figli affetti dalla sindrome è una su 1500 a 20 anni; sale a una su 280 tra i 35 e i 39 anni e arriva a una su 25 all’età di 46 anni.
Il primo trimestre è all’insegna delle prime indagini per un buon inizio. Oltre alla misurazione di pressione arteriosa, emocromo, glicemia, transaminasi ed esame delle urine per indagare eventuali anemie, diabete, funzionalità del fegato e dei reni, sono indicati anche i test di coagulazione del sangue per prevenire il rischio di trombosi, più alto in gravidanza. Poi ci sono i test per sapere se ci sono state, in passato, o sono in corso alcune malattie infettive come la rosolia, la toxoplasmosi, il citomegalovirus, l’epatite B o il virus dell’HIV, che possono danneggiare lo sviluppo del feto o infettare il neonato.
A questo si aggiunge la verifica del gruppo sanguigno e del fattore Rh materno. Se è negativo e quello del padre e del piccolo sono positivi, ci possono essere problemi di incompatibilità tra sangue materno e fetale e può rendersi necessaria una terapia con immunoglobuline anti-fattore Rh positivo dopo il parto. Nei due trimestri successivi alcuni di questi controlli si ripetono, in particolare, l’esame delle urine, l’emocrorno, la glicemia e i test per rosolia e toxoplasmosi se la mamma non è immune. In vista del parto si aggiungono nuovi controlli per epatite B e HIV, più il tampone per lo Streptococco agalactiae che, se è presente, può essere trasmesso al piccolo al momento della nascita e può provocargli un’infezione grave, evitabile sottoponendo la mamma durante il parto a un trattamento con antibiotico. Dopo i 36 anni sono consigliati (e gratuiti) gli esami per la diagnosi di alcune anomalie genetiche.