Le cronache ci raccontano di genitori che sottopongono i propri figli affetti da sindrome di Down ad interventi di chirurgia estetica per eliminare i tratti somatici caratteristici della malattia. Si tratta di casi isolati ma presenti, anche in Italia. Il Comitato Nazionale di Bioetica ha dato parere negativo a questa pratica attraverso il report “Aspetti bioetici della chirurgia estetica e ricostruttiva”.
Il documento redatto e firmato dai proff. Lorenzo d’Avack, Laura Palazzani e Giancarlo Umani Ronchi intende instaurare una riflessione sui limiti della “legittimità” delle richieste d’interventi estetici che mirino ad eliminare dal bambino o dal giovane affetto da trisomia 21 le caratteristiche fisiche tipiche di questa patologia genetica. Nel testo è stata presa in considerazione anche l’influenza di fattori sociali, etici e culturali, senza tralasciare il concetto di salute secondo il significato oggettivo che dovrebbe avere.
In particolare il CNB si è soffermato sul fatto che non si tratta di un intervento strettamente terapeutico quanto di una “necessita” mai sentita dal paziente, quanto dei genitori nello “sforzo” di aiutare il proprio figlio a vivere una vita il più possibile priva di pregiudizi. Come i luminari hanno evidenziato, è inaccettabile dare vita ad interventi “sproporzionati”, invasivi e rischiosi rispetto ai benefici ottenibili.
Vengono utilizzate, a ben vedere, le parole “accanimento estetico”. Non solo. Il Comitato sostiene che se un intervento deve avere luogo in persone maggiorenni, esso deve essere subordinato ai seguenti parametri:
- il bilanciamento dei rischi e benefici deve essere commisurato alle condizioni psico-fisiche del paziente, con riferimento anche alla percezione che il paziente ha del proprio corpo e dei risultati che si attende dall’intervento;
- la funzionalità degli organi interessati deve avere la priorità sul risultato estetico;
- l’informativa al paziente deve essere completa, con una adeguata consulenza anche psicologica.
Per ciò che riguarda i bambini e gli interventi sulle persone incapaci di intendere e volere (nei casi più gravi dell’espressione della Sindrome di Down, N.d.R.) il limite deve essere segnato incontrovertibilmente dall’interesse oggettivo per il raggiungimento di uno stato di salute effettivo e non per “omologare” la persona all’immaginario comune diffuso, ad esempio, dalla televisione, dal quale deve oltretutto essere tutelato in modo tale che non possa provocare al malato il rifiuto della propria immagine.
Concludendo: l’operazione è ritenuta eticamente accettabile se il paziente è ben conscio di rischi e benefici, della necessità di cure costanti e se vi sia un effettivo miglioramento della salute. Linee guida etiche ben precise, chiamate ad essere rispettate.
Fonte: CNB
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