La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è una tecnica recentemente utilizzata per trattare diverse patologie a carico del sistema nervoso, a partire dalla depressione, passando per i sintomi del Parkinson, fino ad arrivare all’acufene, il persistente ronzio nelle orecchie e le allucinazioni uditive. Si tratta di una terapia utilizzata spesso a livello sperimentale per la ricerca sul cervello ed il suo funzionamento.
Stimolazione magnetica transcranica: cosa è
La stimolazione magnetica transcranica è l’induzione di un campo magnetico, messo a punto per eccitare in maniera elettronica i neuroni. La sua nascita risale al 1985 quando un primo studio di successo è stato condotto e concluso riguardo al suo funzionamento. Questa tecnica viene messa in atto attraverso un’apparecchiatura appositamente costituita da una sorta di casco messo a contatto con la testa del paziente e dotato degli strumenti in grado di creare il suddetto campo. Esso è collegato ad un generatore di corrente ad alta intensità. E’ il campo elettrico veicolato lungo la sonda a contatto con il paziente a creare questo campo magnetico in grado di agire senza alcuna dispersione energetica ed in modo indolore, sulla corteccia cerebrale ed i neuroni dell’area stessa.
La stimolazione magnetica transcranica agisce direttamente sulle funzioni corticali, colpendo con il raggio di azione del suo campo magnetico la corteccia cerebrale. Essa può riuscire a modulare, dar vita o bloccare determinate funzioni cerebrali a seconda del sito di azione sul cervello e della frequenza, durata ed intensità dello stimolo regolato dalla macchina. Basta pensare alla capacità che ha nei malati di parkinson di limitare fortemente il tremore. Il suo funzionamento è ancora oggetto di studi: gli scienziati sono infatti convinti che i suoi campi di applicazione sono molteplici rispetto a ciò che si è raggiunto fino ad ora.
Stimolazione magnetica trasncranica: a cosa serve
La stimolazione magnetica transcranica, lo ripetiamo, è utilizzata principalmente in ambito neurologico. Più nello specifico viene scelta dagli specialisti come strumento diagnostico di tutte quelle patologie che provocano un’alterazione della funzionalità delle aree del cervello. E’ in grado, infatti, di rilevare se esistano delle lesioni di natura infiammatoria, ischemica, tumorale e compressiva a carico del cervello. E’ stato in modo del tutto casuale, nel 2007, che nel corso dell’utilizzo diagnostico del macchinari è stato scoperto dai ricercatori che il campo magnetico creato dalla stimolazione magnetica transcranica fosse in grado di migliorare anche i disturbi dell’umore come la depressione.
Diversi studi, lo ricordiamo nuovamente, hanno portato all’utilizzo sperimentale di questa tecnologia anche in malattie come il Parkinson e l’ictus, puntando ad un utilizzo riabilitativo basato sulla capacità di quest’approccio di riuscire a sbloccare i circuiti neurali interrotti a causa della distruzione o del danneggiamento dei neuroni derivanti da queste malattie.
Da un punto di vista strettamente neurologico, il campo magnetico creato dalla stimolazione elettromagnetica transcranica agisce sulla struttura della corteccia celebrale modificandone l‘attività elettrica anche sul lungo termine rispetto alla stimolazione. Anche la secrezione di neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina ne risultano rimodulati: fattore questo che spiega perché questa terapia sia considerata valida anche nella cura di casi gravi di depressione. Essa viene considerata in ambito psichiatrico una tecnica d’appoggio alla terapia farmacologica della depressione in mancanza di sintomi psicotici. In caso di ictus, l’influenza impiegata sulla corteccia cerebrale aiuta la capacità di riorganizzazione dei neuroni, aiutando il fenomeno della ridondanza e la plasticità neuronale.
E’ importante ricordare che non si tratta di elettroshock o di un intervento di simile natura, ma un modo di manipolare le strutture cerebrali senza invasività ed in modo preciso e profondo. Proprio per questo motivo si adatta ad essere utilizzata con efficacia in ambito cognitivo su pazienti affetti da patologie neurodegenerative come il Parkinson (pensate a Micheal J. Fox, N.d.R.) o di gravità sostanziale come l’ictus che necessitano di una rimodulazione dell’attività cerebrale.
Photo Credit | Thinkstock