Uno dei (tanti) segreti della longevità? Mangiare poco. Non significa rimanere a stecchetto, ma secondo una recente ricerca pubblicata su PNAS, basterebbe ridurre di un terzo le calorie consumate per poter mantenere il cervello giovane. Se poi a questo ci aggiungiamo la riduzione del rischio delle malattie associate all’obesità, si può immaginare quanto alla fine convenga anche ai più golosi.
La scoperta è tutta italiana, realizzata presso l’Università Cattolica di Roma, e riguarda una proteina chiamata Creb1, già nota da tempo per essere una di quelle coinvolte nel processo di invecchiamento neuronale, la quale regola alcune funzioni come la memoria, l’apprendimento e l’ansia. Questa proteina può essere regolata “artificialmente” tramite farmaci o anche semplicemente bevendo caffè o tè, ma questo serve solo a stimolarla. La scoperta dell’attivazione o disattivazione invece è del tutto nuova.
Secondo la teoria dei ricercatori romani, basterebbe tagliare circa il 30% delle calorie per migliorare le performance cognitive del cervello. Ciò è particolarmente importante in età avanzata per combattere l’insorgere di alcune malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.
Questo dimostra per la prima volta uno dei meccanismi attraverso cui la dieta agisce sul cervello anche se per l’uomo il discorso è più complicato perché non basterebbe semplicemente tagliare le calorie, ma incidere anche sulla qualità degli alimenti. In ogni caso ormai è più chiaro il meccanismo che lega le malattie metaboliche, come diabete e obesità, e il declino delle attività cognitive. Ed è un buon punto di partenza, anche nella logica di una possibile prevenzione farmacologica delle malattie neurodegenerative
ha spiegato Salvatore Fusco, coautore dello studio, sottolineando che questa ricerca è stata condotta sui topi e che dunque deve ancora essere confermata sugli esseri umani. Per avere un’idea di cosa si sta parlando, diciamo che mediamente un adulto fisicamente attivo dovrebbe assumere circa 2000 calorie. In questo caso basterebbe assumerne 1.400 per far sì che il meccanismo funzioni.
Giovambattista Pani, dell’Istituto di Patologia generale ed uno degli autori dello studio, ha comunque tenuto a precisare che dato che non sempre la restrizione calorica è positiva per il corpo umano, il team dovrebbe iniziare uno studio per cercare di realizzare un farmaco in grado di far ottenere lo stesso risultato senza ridurre la quantità di cibo immesso nell’organismo. Ma visto che per questo medicinale ci vorranno anni, nel frattempo di certo non ci farebbe male ridurre un po’ ciò che mangiamo.
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